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Idea Viaggio
Lazio. I set di “Roma città aperta”

Roma neorealista. Con Rossellini dal Rione Trevi al Pigneto

Tipologia
Percorso a piedi
Durata
1 giorno
Numero Tappe
5
Difficoltà
Facile

È il gennaio 1945 quando Roberto Rossellini inizia a girare “Roma città aperta”. La città è stata liberata solo sette mesi prima, interi isolati sono ridotti in macerie dai bombardamenti e gli studi di Cinecittà sono stati trasformati in rifugi per gli sfollati. Le risorse, pellicole comprese, sono ridotte ai minimi termini. Condurre a termine le riprese è una vera sfida e la scelta delle location diventa determinante per rispettare il più possibile l’autenticità dell’ambientazione dei fatti storici che ispirano il film: è l’essenza del neorealismo.

La Roma che visitate è ben diversa da quella di Rossellini, il cineturismo ci porta a ricalcare le stesse orme di uno dei capostipiti del neorealismo… ma con delle scarpe nuove. Ritroviamo, infatti, una Roma ancora più aperta: al turismo, alla cultura, all’innovazione, all’evoluzione.

Ecco allora che un viaggio tra le location di “Roma città aperta” diventa un’esperienza rara, nella quale è impossibile scindere l’omaggio al film dalla rievocazione della realtà storica. Ma è anche l’occasione per scoprire quanto sia cambiata la città. Aree un tempo periferiche o dismesse, oggi sono diventate mete turistiche a tutti gli effetti e questo anche grazie al traino del cinema, del capolavoro di Rossellini e di molti altri film di successo o “di culto” che vi sono stati ambientati, rendendole celebri. 

Si parte dal centro storico, in particolare dal rione Trevi: in via degli Avignonesi Rossellini allestisce il set per gli interni e comincia le riprese. Siamo a due passi dalla fontana del Tritone e dalla splendida piazza di Spagna, dove non a caso sono ambientate le primissime scene del film, ma anche da via Rasella, strada che ha un ruolo centrale nella storia della Roma occupata. Si prosegue al Pigneto, quartiere all’epoca povero e marginale, zona di grandi fabbriche e di operai immigrati. Siamo nel “triangolo” compreso tra la Casilina e la Prenestina. Qui Rossellini colloca la casa di Pina, il personaggio interpretato da Anna Magnani: si trova in via Montecuccoli, che è anche la strada dove il regista ambienta la scena dell’assassinio della protagonista. Al Pigneto si incontra anche la chiesa di don Pietro Pellegrini, interpretato da Aldo Fabrizi, personaggio che rievoca don Pietro Pappagallo, un eroico sacerdote che qui era di casa.

Ma seguendo le tracce di “Roma città aperta”, in quell’enorme set a cielo aperto che è Roma, si incrociano le storie e luoghi di molti altri film, più o meno noti. Su tutti, nel rione Trevi aleggia la presenza di Federico Fellini, mentre al Pigneto la figura impossibile da ignorare è quella di Pier Paolo Pasolini, che vi ambientò “Accattone” (1961) e che oggi è protagonista di una serie di murales. Seguendo le suggestioni pasoliniane vale la pena proseguire sulla Casilina fino al vicino quartiere di Centocelle, che con il Pigneto ha più di un elemento in comune. Vocazione cinematografica inclusa. 

“Roma città aperta” nasce il 18 gennaio 1945 nel rione II della Capitale, ossia il rione Trevi, quello della fontana omonima e del palazzo del Quirinale. Durante la prima parte delle riprese Roberto Rossellini e la troupe fanno base dalle parti di piazza Barberini.

Roma è in macerie ma il regista trova un set di fortuna: un piccolo teatro di posa in cui allestisce la camera di don Pietro Pellegrini (Aldo Fabrizi), e il comando della Gestapo. Il teatro viene ricavato dove in precedenza c’era una sala scommesse, in via degli Avignonesi, parallela della celebre via del Tritone. Proprio in questa via Rossellini incontra casualmente Vito Annichiarico, un bambino che si guadagna da vivere facendo lo “sciuscià”, il lustrascarpe. Diventerà Marcello, il figlio della protagonista.

Per comodità, ma anche per le caratteristiche di quest’area che, con le sue piazze, la sua alternanza di palazzi barocchi e umbertini, gli alberghi e le trattorie, è tra le più rappresentative del centro di Roma, sceglie di girare nei paraggi anche alcune scene non ambientate in studio. Ad esempio, l’ingegner Giorgio Manfredi, il leader della Resistenza interpretato da Marcello Pagliero, si ferma a pranzo in un’osteria proprio lì accanto, al n. 34 di via degli Avignonesi.
Questa zona era stata vivacissima negli Anni ‘20. Dalle parti di via degli Avignonesi, ad esempio, era di casa il giovane Alberto Moravia mentre lavorava a “Gli indifferenti” (1929). Lo scrittore frequentava un centro culturale d’avanguardia che comprendeva il teatro sperimentale degli Indipendenti e una galleria in cui potevano esporre gli artisti più innovativi del tempo. Si trattava di un enorme scantinato che da via degli Avignonesi arrivava fino a via Rasella: la strada dove alcuni partigiani compirono un attentato ai soldati tedeschi, evento cui seguì la rappresaglia nazista con il massacro delle Fosse Ardeatine.

Tornate nella Roma di oggi. Il rione Trevi è uno dei più belli, amati e visitati di Roma. Qui si trova uno dei simboli della città: la fontana di Trevi, di epoca barocca e resa iconica anche da film come “La dolce vita” di Fellini, in cui Anita Ekberg entra a fare il bagno chiamando a sé Mastroianni. Qui è d’obbligo gettare una moneta ed esprimere un desiderio, fatelo anche voi. Questa fonte non è l’unica importante del rione, basti pensare alla fontana del Tritone nella prospera piazza Barberini, anch’essa frequentatissima dai romani e dai turisti, o ancora quelle al quadrivio di via delle Quattro Fontane: quelle di Diana e Giunone fanno ancora parte del rione Trevi, mentre le due personificazioni dell’Arno e del Tevere appartengono ai rioni Monti e Castro Pretorio.

Via degli Avignonesi corre ai margini del rione Trevi. Appena 400 metri più in là, superato uno scorcio del rione III Colonna e attraversata via Frattina, ci si ritrova nel rione IV Campo Marzio, già sul lato meridionale di piazza di Spagna: la prospettiva è dominata dalla colonna dell’Immacolata, poco più avanti si trovano la fontana della Barcaccia e la scalinata di Trinità dei Monti. Qui Rossellini gira le scene iniziali di “Roma città aperta”: nelle sequenze di apertura si intravede, infatti, piazza di Spagna attraversata dai soldati tedeschi in marcia, mentre il personaggio di Giorgio Manfredi (Marcello Pagliero) riesce a sottrarsi alla cattura fuggendo dal tetto di una pensione al n. 51 della piazza, all’angolo con via Frattina.
Sempre nel rione Campo Marzio, passeggiando verso piazza del Popolo lungo via del Babuino, tra boutique e monumenti ci si avvicina a un’altra location del film. È il negozio d’antiquariato che nasconde la tipografia clandestina in cui don Pietro riceve il denaro destinato ai partigiani: si affaccia sulla caratteristica via Margutta ancora oggi strada di antiquari e gallerie d’arte.

Anche questo rione ora ha cambiato volto. Campo Marzio è un luogo vivace ed elegante, quasi totalmente dedicato allo shopping e al relax. Questo rione è un angolo di città tra i più raffinati e ricercati, con tante boutique e gli atelier dei nomi della moda e degli accessori più famosi al mondo. Dedicatevi, quindi, agli acquisti più sfrenati, sorseggiate un cocktail in uno dei locali oppure passeggiate apprezzando tanta bellezza.

Ancora adesso la via Margutta desta l’interesse dei curiosi e degli affezionati, basti pensare che un tempo al n. 110 vi abitavano Federico Fellini e Giulietta Masina. Già resa celebre grazie al film “Vacanze romane” di William Wyler, questa strada è divenuta poi negli Anni ‘70 sede dell’Associazione Cento Pittori che, ogni anno, organizza esposizioni artistiche lungo la via, in primavera e in autunno. Per alcuni giorni le strade si trasformano in gallerie d’arte a cielo aperto e artisti da diversi Paesi del mondo danno vita e colore a questo luogo sospeso nel tempo.

Se il rione Trevi, con via degli Avignonesi e gli immediati dintorni, è la culla di “Roma città aperta”, il cuore del film pulsa in via Raimondo Montecuccoli. È una breve strada di periferia del quartiere Pigneto, diventata proprio grazie a Rossellini una tappa obbligata per i cinefili che visitano Roma.

Siamo all’angolo con piazzale Prenestino, a pochi passi dal Torrione Prenestino; un po’ più in là, proseguendo sulla stessa direttrice si arriverebbe in largo Preneste, dove abitava Vito Annichiarico, il bambino che interpreta Marcello.

Nel palazzo al n. 17 vivono Pina, la protagonista interpretata da Anna Magnani, e il suo prossimo marito, il partigiano Francesco, interpretato da Francesco Grandjacquet. In una soffitta al n. 36 abita poi Romoletto, ragazzo mutilato al quale don Pietro impedisce di gettare una bomba sui soldati tedeschi. Soprattutto, via Montecuccoli è la strada dove si consuma il sacrificio di Pina, falciata dai colpi di mitra mentre insegue la camionetta che le sta strappando per sempre Francesco.

Rossellini si ispira a un evento realmente accaduto a Roma ma in un altro quartiere, nel rione Prati: l’assassinio di Teresa Talotta Gullace, uccisa per strada da un soldato tedesco mentre stava protestando davanti a un carcere, per poter parlare con il marito prigioniero. Quella tragedia era ben nota anche alla romana Anna Magnani, che ne diede un’interpretazione di enorme intensità emotiva. Per quella scena magistrale, il poeta Giuseppe Ungaretti le avrebbe dedicato parole che ogni spettatore del film può condividere: “Ti ho sentito gridare ‘Francesco’ dietro un camion e non ti ho più dimenticato”.

Oggi in via Montecuccoli i turisti possono incontrare, di fronte al portone dove ebbe inizio la corsa di Pina, una targa commemorativa apposta dall’Amministrazione Capitolina di Roma nel 1995. La strada è diventata a tutti gli effetti un “luogo della memoria” e, anzi, in quel palazzo vivono ancora adesso alcune delle comparse che presero parte al film.

Via Montecuccoli, ai margini settentrionali del Pigneto, è oggi uno spicchio di Roma dove le tracce dell’antichità, come il mausoleo del Torrione Prenestino, dialogano con aree industriali dismesse e in trasformazione, e nelle strade aprono bistrot e locali di tendenza. Non era così nel XVII secolo quando era tutto ville, orti e vigne, e non era così nemmeno sul finire dell‘800 quando era soltanto una borgata di periferia, abitata da operai e immigrati.

Il Pigneto del 1945, con la sua gente semplice e spesso sofferente, non poteva non essere protagonista in “Roma città aperta”. Qui si muoveva don Pietro Pappagallo, una delle vittime delle Fosse Ardeatine, fonte d’ispirazione per la scrittura del personaggio di don Pietro Pellegrini (Aldo Fabrizi). Don Pappagallo era arrivato al Pigneto dalla Puglia e aveva preso in cura le anime dei “lavoratori fuorisede” della CISA/SNIA Viscosa, grande fabbrica di filati sulla Prenestina oggi dismessa e inglobata nell’area verde del Parco delle Energie. L’anima operaia del Pigneto ne aveva fatto uno dei poli della Resistenza contro l’occupazione tedesca. Rossellini, fedele alla realtà, scelse di ambientare le scene-chiave del suo capolavoro in questo quartiere. Anche la chiesa dove, nel film, officia don Pietro è almeno negli esterni una chiesa del Pigneto, quella di S. Elena sulla Casilina. Qui nel 1943 il vero parroco di S. Elena, padre Raffaele Melis, era morto soccorrendo le vittime di un bombardamento sulla ferrovia poco distante. Gli interni della chiesa del film sono invece quelli di S. Maria dell’Orto a Trastevere.
Il Pigneto, con le sue storie di periferia, in seguito fu particolarmente caro anche a Pier Paolo Pasolini, spesso considerato l’ultimo dei neorealisti. Il regista e scrittore, che definiva il quartiere “la corona di spine che cinge la città di Dio”, vi ambientò “Accattone” (1961), film incentrato tra via Fanfulla da Lodi, via del Pigneto e via Ettore Giovenale. In via Fanfulla da Lodi i turisti cinefili possono andare ad ammirare una serie di murales dedicati a Pasolini (VEDI SCHEDA IN FILE DESTINAZIONI Murales del Pigneto), che fanno parte del progetto Omaggio a Pasolini.

Oggi in questo quartiere regna un’atmosfera giovanile, molto frequentata dai ragazzi anche grazie alla vicinanza con l’Università di Roma Sapienza. Un quartiere “alternativo”, frequentato da studenti e creativi, dall’atmosfera bohèmienne e con una vivace vita notturna. Per le sue strade potete trascorrere ore spensierate tra mercatini vintage, street food, trattorie tradizionali, locali etnici o all’ultima moda, caffè letterari. Ha perso il suo spirito prevalentemente proletario, ma non il suo fascino diventando uno dei quartieri romani oggi più vivi, culturalmente e artisticamente parlando.

La facciata della chiesa di S. Elena, quella di don Pietro in “Roma città aperta” e di padre Melis nella realtà, si apre sul primo tratto della Casilina. È la lunghissima via che inizia presso la Porta Maggiore e, attraversando il Pigneto, Torpignattara e gran parte del Municipio Roma V, esce dalla Capitale in direzione sud-est. Sulla spinta della trasformazione del Pigneto, anche altri quartieri attraversati da questa strada stanno diventando punti di riferimento della movida romana, tra pub e locali, street art e centri culturali particolarmente attivi. Non era così, ovviamente, fino agli Anni ‘60: all’epoca, per citare Pasolini, la Casilina attraversava “una Shangai di orticelli, strade, reti metalliche, villaggetti di tuguri, spiazzi, cantieri, gruppi di palazzoni”.
La strada si riconosce in più sequenze di “Roma città aperta” e anche stavolta non è un caso. Rimanendo nei pressi della chiesa di S. Elena, Pina confida il suo passato e le sue angosce a don Pietro camminando lungo la circonvallazione Casilina, nel tratto di strada (nemmeno 500 metri) che collega la Casilina alla Prenestina. Lungo l’asse di questa strada, oggi, si sviluppa l’Ecomuseo casilino Ad duas lauros, che comprende altre aree urbane spesso frequentate dal cinema neorealista, da Villa Gordiani a Centocelle.

Lungo la via Casilina vi sono numerosissime testimonianze archeologiche di epoca romana, per esempio la catacomba dei ss. Marcellino e Pietro, il Parco Labicano con resti di ville, come quella di S. Elena (madre dell’imperatore Costantino), e le catacombe di S. Castulo.

La Casilina, congiungendosi con la via Prenestina, comprende il quartiere Centocelle, in cui l’antico si fonde col moderno dove trovano spazio alcuni villini di recente costruzione e palazzi edificati nel periodo di intensa urbanizzazione degli Anni ‘50.

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