Chiesa di S. Maria dell’Orazione e Morte
La chiesa di S. Maria dell’Orazione e Morte compare all’improvviso non appena si supera l’Arco dei Farnesi, mentre lo sguardo già corre verso l’edificio accanto, il borrominiano palazzo Falconieri. Siete ad appena 150 metri dall’estremità meridionale di via Giulia e già questa strada rinascimentale, progettata da Donato Bramante, sfoggia tutto il suo fascino: rettilinea e pittoresca, pavimentata da sampietrini, invita a camminare di buon passo verso l’estremità opposta, distante un chilometro, e allo stesso tempo costringe a continue soste per ammirare chiese e palazzi. Per capire che S. Maria dell’Orazione e Morte non è una chiesa come le altre, bisogna concedersi qualche istante d’osservazione davanti alla facciata: lo sguardo mette subito a fuoco 2 teschi, che sorreggono la mensola del portale, e un terzo teschio che decora il timpano del finestrone superiore; soffermandosi sugli altri ornamenti emergono vari simboli macabri. Se non bastasse, sulle targhe presso le buche per le offerte sono raffigurati scheletri che fungono da memento mori.
La chiesa non è sempre aperta, ma se si riesce a entrare ci si ritrova in un ambiente che invita a meditare sulla caducità della vita umana e anche a commemorare i propri defunti: ci si riallaccia così alle preghiere che qui, da secoli e ancora oggi, vengono recitate dall’Arciconfraternita di S. Maria dell’Orazione e Morte per la salvezza delle anime. Fino agli ultimi anni dell’800, sotto e dietro la chiesa si trovava un cimitero che custodiva oltre 8000 corpi, per lo più cadaveri abbandonati, ripescati nel Tevere o ritrovati nelle campagne romane: quasi tutti furono poi rimossi per realizzare i muraglioni del Tevere e il lungotevere dei Tebaldi, che corre dietro la parete absidale. Nella cripta-ossario si conservano alcuni teschi e scheletri e sono esposti macabri lampadari e altre composizioni artistiche in ossa umane.
La meditazione sulla morte si ritroverà in un’altra delle chiese di via Giulia, situata circa 400 metri più a nord, già nel rione Ponte: la chiesa di S. Maria del Suffragio, appartenente all’Arciconfraternita di Maria SS. del Suffragio nonché chiesa giubilare per l’Anno Santo 2025. Su queste strade passavano sia i pellegrini diretti in Vaticano, sia i cortei dei condannati a morte diretti a piazza S. Angelo per le esecuzioni. Secondo una tradizione, alcune sentenze furono eseguite anche all’incrocio tra via Giulia, via delle Carceri e via del Gonfalone.
Chiesa di S. Caterina da Siena
A 150 metri dalla chiesa di S. Maria dell’Orazione e Morte, sul lato opposto della strada, si incontra la chiesa di S. Caterina da Siena. La sua facciata curvilinea richiama subito alla mente le architetture di Borromini, forse anche per la vicinanza di palazzo Falconieri. In effetti, pur essendo di origine cinquecentesca, questa chiesa venne ricostruita nel ’700 in forme tardobarocche da Paolo Posi, ammiratore di Borromini. Posi era senese, proprio come S. Caterina: non è un caso, come non lo è il fatto che nei tondi che decorano la parte alta della facciata compaia per ben 2 volte la Lupa, simbolo che accomuna le città di Roma e Siena. Questa infatti era (ed è tuttora) la chiesa dell’Arciconfraternita di S. Caterina da Siena o dei Senesi, un tempo punto d’incontro dei ricchi mercanti e dei banchieri originari della città toscana. Per citare solo due casati, ne facevano parte i Chigi e i Borghese…
Tra i compiti dei confratelli c’era l’accoglienza dei pellegrini senesi che arrivavano a Roma per i Giubilei, che qui potevano trovare conforto e alloggio: per questo motivo la chiesa di S. Caterina da Siena è stata proclamata chiesa giubilare per l’Anno Santo 2025. Al di là di queste pie opere, la sontuosità degli arredi della chiesa serviva a celebrare Siena e a testimoniarne la ricchezza e la generosità verso la Chiesa, in esplicita competizione con le chiese di altre comunità e nazioni. Sulla stessa via Giulia, a due passi da qui, sorge infatti la chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani, che era la chiesa nazionale del Regno delle Due Sicilie; all’estremità settentrionale della strada si incontra, invece, la splendida chiesa di S. Giovanni Battista dei Fiorentini, gloria della comunità originaria di Firenze, arcirivale di Siena. Entrambe, nel 2025, svolgono il ruolo di chiese giubilari.
Prima di correre a scoprire le altre chiese, varcate la soglia di S. Caterina: la sorpresa è che all’interno, tra stucchi, fregi e marmi, sono esposte le bandiere delle contrade senesi. In fondo, il Palio è una religione laica e per ogni senese la devozione per la propria contrada assomiglia a una fede da predicare anche in terre straniere…
Chiesa di S. Eligio degli Orefici
Da via Giulia non la si vede, eppure la chiesa di S. Eligio degli Orefici è vicinissima: dista solo 50 metri dalla strada, la si raggiunge prendendo la prima traversa che scende verso il Tevere dopo la chiesa di S. Caterina da Siena. Se si ama l’arte, deviare è quasi d’obbligo. Siamo di fronte a una chiesa progettata dal genio di Raffello, che su via Giulia avrebbe costruito anche la propria dimora, se la morte non lo avesse colto prematuramente: sappiamo infatti che aveva già acquistato un lotto di terreno sul tratto settentrionale della strada, all’altezza del numero 85. Dopo la scomparsa di Raffaello, la chiesa di S. Eligio fu costruita da Baldassarre Peruzzi, tra i massimi architetti del ’500 romano. All’interno si ammirano gli affreschi di Matteo da Lecce, al secolo Matteo Pérez (1545-1628): un pittore forse poco noto, ma di grande talento e dalla vita avventurosa. Dal Salento arrivò a Roma, dove lavorò non solo in S. Eligio ma anche nel vicino oratorio del Gonfalone e perfino nella cappella Sistina, poi viaggiò tra Malta e la Spagna per andare infine a trovare fortuna in Perù…
In S. Eligio degli Orefici la dimensione devozionale si concentra invece sulla venerazione delle reliquie di sant’Eligio, conservate nel busto argenteo sull’altare maggiore. Furono affidate a questa chiesa nel 1628 dal vescovo di Noyon, la città natale del santo, che circa mille anni prima, tra il VI e il VII secolo, era stato un orafo e poi un alto funzionario al servizio dei re dei Franchi. Vicino alla chiesa meritano attenzione anche le casette che costeggiano via S. Eligio, alcune delle quali risalgono al ’400 e al ’500.
Palazzo Sacchetti
Palazzo Sacchetti (o Ricci-Sacchetti) è il più illustre dei molti palazzi nobiliari costruiti su via Giulia tra il ’500 e il ’600. È un edificio così imponente e architettonicamente raffinato da meritare una sosta anche in un itinerario dedicato prevalentemente ai luoghi di fede. Il suo fascino ha conquistato il romanziere Émile Zola, che lo descrive nel romanzo Roma, e un regista di grande sensibilità estetica come Paolo Sorrentino, che vi ha girato alcune scene del capolavoro La grande bellezza. Fu costruito prima della metà del ’500 dal grande architetto fiorentino Antonio da Sangallo il Giovane come propria dimora, poi passò al cardinale Giovanni Ricci di Montepulciano e nel ’600 ai marchesi Sacchetti, originari di Firenze, che lo hanno posseduto interamente fino al 2015. Siete a due passi dalla chiesa di S. Giovanni Battista dei Fiorentini, in una zona che nel Rinascimento era la roccaforte della “nazione fiorentina” a Roma. All’interno del palazzo, accessibile solo in occasioni speciali, si nascondono splendidi affreschi manieristi di Francesco Salviati, nella sala dell’Udienza, e una galleria decorata da Pietro da Cortona. Dal portale, guardando nel cortile, potete però intravedere il curatissimo giardino interno, con un ninfeo cinquecentesco. È inoltre sufficiente raggiungere il retro dell’edificio lungo via del Cefalo per ammirare la loggia posteriore, che chiude palazzo e giardino, coronata da una grande testa di marmo che raffigurerebbe la dea Giunone. Oggi la loggia appare sacrificata dal lungotevere (che, non c’è da stupirsi, qui è intitolato proprio ai Sangallo), ma bisogna provare a immaginarla com’era in origine, prima della costruzione dei muraglioni, quando si specchiava scenograficamente nel Tevere: una vera grande bellezza.
Tornati su via Giulia, prendendo sul lato opposto via dei Cimatori e, oltre corso Vittorio Emanuele II, via del Banco di S. Spirito, vi state avvicinando alla stretta via dei Coronari, l’altro asse antico del rione Ponte.
Chiesa di S. Salvatore in Lauro
La chiesa di S. Salvatore in Lauro domina la piazza omonima, che si apre lungo il tratto occidentale dei Coronari sul lato che dà verso il lungotevere Tor di Nona. L’appellativo “in Lauro” ricorda che un tempo qui verdeggiava un boschetto affacciato sul fiume, un piccolo idillio che nel ’400 fu scelto come sede di un convento, ovviamente dotato della sua chiesa. Possiamo solo immaginare i pellegrini che, in occasione dei primi Giubilei, qui trovavano un angolo di pace mentre percorrevano il rettilineo di via dei Coronari, stretta e sempre affollata: la basilica di S. Pietro, meta finale, era vicinissima, ma per raggiungere ponte S. Angelo occorreva farsi largo nella calca, mentre sui lati della strada decine di bottegai cercavano di vendere ai fedeli rosari e altri oggetti devozionali. A partire dal ’600, furono soprattutto i fedeli provenienti dalle Marche a fare riferimento a S. Salvatore in Lauro. Infatti questa chiesa, dopo essere stata ricostruita a fine ’500 in forme tardorinascimentali, passò nelle mani dell’attuale Pio Sodalizio dei Piceni che ne fece il punto di riferimento religioso per i marchigiani residenti a Roma, nonché un santuario dedicato alla Madonna di Loreto, simbolo della devozione marchigiana, e un luogo d’accoglienza per i pellegrini corregionali, soprattutto in occasione dei Giubilei. Non sorprende, dunque, che S. Salvatore in Lauro figuri tra le chiese giubilari per l’Anno Santo 2025. Oggi qui si venera una reliquia di Pio IX Mastai-Ferretti, l’ultimo sovrano dello Stato Pontificio: un papa marchigiano, nato a Senigallia, che è stato beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 2000, l’anno del Grande Giubileo. In tempi più recenti, la chiesa di S. Salvatore in Lauro è diventata anche un luogo di culto legato alla figura di S. Pio da Pietrelcina, del quale conserva alcune reliquie.
Chiesa di S. Maria della Pace
Una deviazione di un centinaio di metri da via dei Coronari lungo la strettissima via Arco della Pace regala all’improvviso la scenografia barocca di uno spiazzo progettato da Pietro da Cortona, dove protagonista indiscussa è la facciata della chiesa di S. Maria della Pace. Il suo gioco teatrale di curve concave e convesse introduce a due autentici gioielli del Rinascimento: la cappella Chigi, opera di Raffaello, che nei suoi affreschi datati 1514 dimostra di aver già assorbito la rivoluzione apportata da Michelangelo nella cappella Sistina, e il chiostro di S. Maria della Pace o chiostro del Bramante, la prima opera architettonica realizzata da Bramante a Roma. Tante bellezze furono create per rendere omaggio a una semplice immagine della Madonna della Pace risalente al ’400. In questa chiesa, l’omaggio è un’icona del XV secolo sull’altare maggiore in cui la Madonna colpita da un sasso, secondo la tradizione, avrebbe miracolosamente versato sangue; perciò venne costruita una cappella in suo onore, trasformata poi in una splendida chiesa da papa Sisto IV.