Un’ampia facciata in mattoni a vista, in cui si aprono 6 grandi finestre in travertino protette da grate di ferro e, al centro, un portale in marmo sormontato da un balcone: così palazzo Sacchetti (o Ricci-Sacchetti) si affaccia su via Giulia, imponendosi come il più nobile tra tutti gli edifici civili di questa strada. Lo completano dettagli curiosi come la fontanella con un putto tra i delfini, risalente alla fine del ’500, all’angolo con via del Cefalo.
Lungo via Giulia, tra il ’500 e il ’600 i casati dell’aristocrazia romana facevano a gara per costruirsi una dimora che ne testimoniasse il rango... A commissionare palazzo Sacchetti, però, non fu una famiglia nobile e nemmeno un potente cardinale. Lo costruì per sé un grande (e affermatissimo) architetto che ambiva a realizzare l’“edificio perfetto”, senza dover rendere conto a nessuno delle sue scelte progettuali. Per scoprirne il nome è sufficiente leggere l’iscrizione posta a sinistra del balcone, che recita «Domus Antonii Sangalli Architecti - MDXLIII». Si tratta di Antonio da Sangallo il Giovane, maestro del tardo Rinascimento nato a Firenze e molto attivo a Roma, anche lungo la stessa via Giulia e soprattutto sul tratto settentrionale della strada, dove la comunità dei fiorentini residenti a Roma aveva il suo quartier generale. Lavorò ad esempio all’edificio al numero 93, alla cosiddetta casa di Raffaello (numero 85) e anche a palazzo Medici Clarelli (numero 79).
Tuttavia, al Sangallo viene solitamente attribuita solo la parte inferiore di palazzo Sacchetti; il resto dell’edificio dovrebbe essere opera di Nanni di Baccio Bigio e Annibale Lippi, intervenuti dopo la sua morte (1546), quando il palazzo finì nelle mani del cardinale Giovanni Ricci di Montepulciano e poi di varie famiglie, tra cui i banchieri Ceuli. Nel 1649 passò ai marchesi Sacchetti di Firenze, che ne fecero un vero scrigno di opere d’arte: la loro collezione di dipinti sarebbe diventata uno dei nuclei fondanti della Pinacoteca Capitolina. Ciascuno dei nuovi proprietari intervenne arricchendo la decorazione degli interni, affidata in epoche diverse a maestri come Francesco Salviati e Pietro da Cortona, e modificando o integrando l’architettura. Le aggiunte più importanti furono il bel giardino interno, all’italiana e dotato di un ninfeo, e l’elegante loggia simmetrica sul lato posteriore, voluta dalla famiglia Ceuli a fine ’500 e modificata dai Sacchetti: prima della costruzione dei muraglioni del Tevere guardava direttamente il fiume.