Gli interni della chiesa di S. Maria dell’Orto hanno un aspetto indubbiamente maestoso, ma a qualcuno il sistema di stucchi e affreschi che li riveste potrebbe apparire un po’ troppo carico per essere davvero aristocratico. In effetti questa era una chiesa da ricchi, ma non da nobili. Sorgeva in una zona commerciale e agricola, lo si evince anche dal nome, che gravitava attorno alla Porta Portese e al porto di Ripa Grande, sul Tevere. A finanziarne la costruzione, iniziata attorno al 1495 e completata nel 1567, erano state le “Università” dei Pizzicaroli e degli Ortolani, dei Fruttaroli e Limonari, dei Pollaroli e Barilari, dei Vignaioli e Molinari, dei Sensali e perfino dei Vermicellari, i produttori di pasta. Erano le associazioni degli agricoltori, dei grossisti, degli artigiani e dei mercanti a garantire l’approvvigionamento dell’Urbe, riunitesi progressivamente in un’unica confraternita. L’occasione fu offerta da un miracolo accaduto qui, forse nel 1488, a un invalido che aveva pregato una Madonna dipinta vicino all’ingresso del suo orto. Attraverso questa chiesa, i committenti ambivano a conquistare un maggiore prestigio sociale. L’obiettivo fu raggiunto esattamente un secolo dopo il miracolo, nel 1588, quando papa Sisto V elevò la loro confraternita al rango di Arciconfraternita di S. Maria dell’Orto, con il privilegio di poter salvare ogni anno un condannato a morte.
L’impianto della chiesa si deve principalmente all’architetto Guidetto Guidetti; sull’altare maggiore è custodita la venerata immagine della Madonna col Bambino, tra affreschi di Federico e Taddeo Zuccari. Gli esuberanti stucchi e gran parte degli affreschi che decorano gli interni risalgono alla prima parte del ’700; qua e là, osservandoli attentamente, si distinguono simboli e raffigurazioni che evocano i mestieri dei confratelli. Bellezza e luminosità degli interni hanno indotto vari registi a girare qui scene ambientate in luoghi di culto. Le sue navate si riconoscono ad esempio in “Roma città aperta” di Roberto Rossellini (1945), che ne fa (ma solo all’interno) la chiesa di don Pietro, il prete interpretato da Aldo Fabrizi. Ne “Lo scapolo”, Antonio Pietrangeli (1955) inscena qui il matrimonio del protagonista, interpretato da Alberto Sordi. Pupi Avati vi ambienta invece un funerale ne “Il papà di Giovanna” (2008). La chiesa è anche, da secoli, il punto di riferimento dei cattolici di origine giapponese che vivono a Roma.