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Arte e cultura
Emilia-Romagna, Marche

Goffredo Gaeta, maestro sui generis, ceramista e non solo. Un itinerario tra Emilia-Romagna e Marche

Tipologia
Percorso in auto
Durata
2 giorni
Numero Tappe
4
Difficoltà
Facile

mi è stato chiesto come nasca e s’organizzi il mio lavoro; ci vuol poco, s’è visto, per mettermi all’opera, ma le cose più impegnative nascono, in genere, da precise provocazioni conoscitive: l’infinità dei mondi stellari e i viaggi nel cosmo oppure la realtà dietro l’apparenza e cosa c’è davvero all’interno del variopinto vortice della natura...”  (Goffredo Gaeta, 1998).


Goffredo Gaeta
è conosciuto soprattutto per la sua ricchissima produzione ceramica ma ha sempre avuto una curiosità attenta alle più diverse tecniche artistiche: vetro, grafica, pittura, oreficeria, bronzo. Artista poliedrico, ha costantemente sperimentato il dialogo tra tecniche diverse.

Il maestro nasce a Faenza nel 1937 ma trascorre l’infanzia in Grecia, nell’isola di Kos; in questi anni passa molta parte delle sue giornate nella bottega di un vasaio perché ha già scoperto il piacere di plasmare l’argilla.

Rientrato in Italia inizia un percorso formativo presso l’Istituto d’Arte Ceramica Ballardini di Faenza, a cui si aggiungono gli studi di disegno presso la Scuola Minardi e le prove di pittura ad olio; seguono i corsi a Bologna e a Firenze, dove studia la tecnica dell’affresco.

Sono gli anni in cui guarda all’astrazione ma presto inizierà a riflettere sui temi dell’arte sacra che lo condurranno a modificare il suo stile verso forme di figurativismo.

Giorno 1

Faenza. Museo Goffredo Gaeta. La produzione ceramica

La prima tappa del nostro itinerario non può che iniziare da Faenza, dal museo dedicato al maestro, in Via Firenze.

L’allestimento è di tipo cronologico e inizia con le prime prove ceramiche degli anni ’50, esemplificative del percorso formativo. Goffredo è giovanissimo e guarda a certe forme di primitivismo di matrice picassiana - come si evince dal piatto Il cavaliere - e all’astrazione.

Sono anni importanti che vedono evolversi l’arte del fuoco da una dimensione prettamente manifatturiera a quella delle cosiddette arti maggiori, scultura e pittura. La città di Faenza è ribollente, fucina di idee, progetti, assoluta protagonista di un vero e proprio risveglio culturale che vede Goffredo Gaeta in prima linea. Sono anni importanti. Assieme agli amici e compagni di studio, Filippo Doppioni e i fratelli Rondinini, fonda la fornace G.D.R. che s’impone subito all’attenzione del pubblico.

Si passa poi agli anni ’60. Il maestro lavora sul tema del Bianco e Blu, ben documentato nel percorso museale. In modo del tutto originale, recupera e reinterpreta la tradizione faentina nelle forme, come l’albarello, e nella scelta cromatica. In questa raffinatissima serie, adotta un linguaggio informale, di tipo gestuale, molto apprezzato anche in Oriente, in particolare in Giappone.

Contestualmente sperimenta interessanti effetti cromatici e luministici attraverso un sapiente uso dei lustri che inondano le forme di bagliori metallici, ottenuti con le complesse cotture a riduzione.

Inizia inoltre a lavorare sulla serie delle sfere e dei dischi, una ricerca che lo porta a vincere, nel 1970, il prestigioso e internazionale Premio Faenza con l’opera Lo spazio. Successivamente smembrata, l’opera è divisa tra questa sede museale e il Museo Internazionale della ceramica (MIC). In essa è evidente una ricerca materica nell’uso degli smalti e una probabile riflessione sullo spazialismo di Lucio Fontana, soprattutto nei tagli.

Gli anni ’80 e ’90 sono caratterizzati dai viaggi in Grecia e Terrasanta e dalla seduzione di luoghi già vissuti durante l’infanzia nell’isola di Kos. Da qui le Onde, composizioni fluttuanti tirate fuori dalla memoria come frammenti liquidi, o le Barche, i Paesaggi e le Marine che evocano atmosfere e cromie mediterranee. La collezione faentina include sculture e pannelli di queste serie dai singolari effetti di luce, in bilico tra figurazione e astrazione. In questa fase l’artista sperimenta un certo polimaterismo nella commistione di materiali e tecniche diverse e la ceramica giunge a dialogare anche con il vetro soffiato.

Il percorso museale si chiude con la sezione dedicata agli studi sul tema dell’arte sacra, disegni e bozzetti successivamente tradotti in opere finite, conservate presso diverse chiese in Italia e negli Stati Uniti.

Bologna. Chiesa dei Santi Pietro e Girolamo in Rastignano. Le vetrate istoriate e il bronzo

Siamo alla seconda tappa del nostro itinerario, nelle belle colline bolognesi, comune di Pianoro. Qui si erge la Chiesa dei santi Pietro e Girolamo presso la frazione di Rastignano, edificata negli anni tra il 2007 e il 2009, su progetto dell’architetto Renato Sabbi.

Nel decennio successivo, Goffredo Gaeta arricchisce l’edificio sacro con vetrate istoriate, opere in marmo, bronzo, mosaico, pittura e ceramica.

La chiesa ci accoglie con un portale bronzeo che illustra il tema iconografico di San Pietro pescatore di uomini.

Il linguaggio di Goffredo Gaeta lascia spazio a dettagli realistici, come nella rete, nei pesci e nel volto di Pietro dal quale emergono stati emotivi, mentre la volumetria del corpo dell’apostolo tende a dilatarsi, muovendosi lungo una linea diagonale.  Pietro è attonito. Impiega tutta la sua forza fisica per raccogliere un carico di pesci inaspettato. Il corpo si deforma nello sforzo sovraumano.

Il maestro di fatto piega i limiti della materia dura del bronzo e lo plasma come se fosse morbida argilla.

Pittura, ceramica e bronzo si uniscono nella realizzazione della Residenza del Santissimo Sacramento, ai lati dell’area presbiteriale, mentre altare, ambone e fonte battesimale sono scolpiti nel marmo bianco di Carrara.

Si segnala il pavimento a mosaico policromo, tutto giocato sui toni dell’acqua, sul quale insiste il fonte battesimale.

Un tripudio di cromie luminose emerge nelle vetrate. Il maestro utilizza un linguaggio sintetista di grande bellezza. Le forme sono costituite da un accostamento di moduli, elementi circolari, oblunghi, scheggiati, triangolari, che nel risultato richiamano l’effetto di un collage. Tecnicamente, il metodo elaborato dal maestro gli consente di non ricorrere ad armature metalliche o a legature di piombo, conseguentemente, le diverse scene rappresentate sono dotate di estrema leggerezza, poiché libere dalla rigida griglia degli scomparti in piombo.

Da non perdere il magnifico tondo con l’effige di Santa Clelia Barbieri e la complessa Creazione, composta in modo del tutto originale da diversi pannelli rettangolari. Come in una sequenza cinematografica, le lastre di vetro non sempre descrivono l’intera scena ma frammenti o parti di essa in modo altamente evocativo. Si aggiungano inoltre i luminosissimi paesaggi come quello raffigurato nella vetrata intitolata alle colline del fiume Savena, che vale il viaggio.

Giorno 2

Rimini. Chiesa di Santa Maria Mater Ecclesiae. Tutte le tecniche artistiche in campo

Pannello con mosaico raffigurante la Vergine Maria

La nostra terza tappa ci porta a Rimini, nella Chiesa di Santa Maria Mater Ecclesiae che impegna Goffredo Gaeta per diversi anni.

Commissionata da monsignor Emilio Biancheri, vescovo di Rimini, la chiesa fu edificata su progetto di Giorgio della Biancia, negli anni tra il 1966 e il 1975. La scelta della planimetria a croce greca, ampia ed avvolgente, rispondeva alle esigenze di rinnovamento sancite dal Concilio Vaticano II, che, oltre alla riforma della liturgia, promuoveva un diverso ruolo dei fedeli, protagonisti dei riti assieme al celebrante; questo messaggio necessitava di una spazialità adeguata che potesse comunicarlo.

Secondo questa prospettiva, l’apertura delle pareti con le
vetrate istoriate di Goffredo Gaeta, che fanno filtrare la luce, diviene sostanziale per comunicare il nuovo messaggio.

Il grande vetro in facciata è dedicato ad episodi della vita di Maria:
Annunciazione, Sacra Famiglia, Nozze di Cana e Ai piedi della Croce, in cui le anatomie sono descritte con un linguaggio sintetista di grande efficacia.

Oltre alle vetrate si segnala una scultura bronzea raffigurante il
Cristo dell’Accoglienza, collocata all’interno della chiesa, nell’area presbiteriale sopra il Tabernacolo. Il maestro la realizza nel 2007, a seguito di una nuova commissione. In quest’opera, la descrizione del busto rivela uno studio molto attento dell’anatomia che si unisce a braccia e mani sovradimensionate, come a segnalare l’apertura verso i fedeli.

Da non perdere le composizioni ceramiche della
Via Crucis lungo le due pareti, destra e sinistra, appena varcato l’ingresso. Grandi formelle nella nuda e tradizionale terracotta su uno sfondo di tessere ad effetto musivo, in grès bianco e maiolica a riflessi.

Sulla parete d’altare, un grande bassorilievo, in maiolica policroma a riflessi, celebra la figura della Vergine Maria,
Madre della Chiesa. L’impatto di questo pannello monumentale è piuttosto potente. La figura della Vergine, in bianco purissimo, sostiene il bambino benedicente, Gesù signore del mondo, con in mano il Globo crociato.

La purezza del bianco delle figure sacre, a contrasto con uno sfondo colorato, richiama la tradizione della terracotta invetriata, una produzione molto apprezzata, inaugurata dalla famiglia dei Della Robbia in età rinascimentale.

Ascoli Piceno, Cattedrale. I Martiri del Novecento nell’Apocalisse di San Giovanni

Pannello ceramico raffigurante I Martiri del Novecento

Siamo nelle Marche, quarta tappa del nostro itinerario, nel cuore della città di Ascoli, in piazza Arringo, in cui si erge la cattedrale intitolata a Santa Maria Madre di Dio e a Sant’Emidio.

Edificata con tutta probabilità nel V secolo, su strutture preesistenti, fu ampiamente ricostruita nei secoli successivi e assunse parte dell’aspetto attuale alla fine del XV secolo, per volere del vescovo Prospero Caffarelli. Tra ‘700 e ‘800 furono intrapresi radicali lavori di restauro, soprattutto degli interni.

Nel 2005, a seguito di interventi conservativi, la cattedrale fu arricchita di nuove opere. Un grande pannello ceramico del maestro Goffredo Gaeta, raffigurante
I Martiri del Novecento nella Visione dell’Apocalisse di San Giovanni, è stato collocato sulla parete sinistra della Cappella della Madonna delle Grazie.

Magnifici gli smalti creati dal maestro. Potenti bagliori metallici traducono la visione di San Giovanni e catturano lo spettatore, immettendolo in una materia fluida e fluttuante che annuncia la salvezza dell’umanità.

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