La Centrale dell’Acqua di Milano
Milano è una città costruita sull’acqua. Fino ai primi decenni del ‘900 era chiamata la Venezia lombarda, per il vasto e articolato sistema di canali navigabili artificiali che furono costruiti nel XII secolo e perfezionati alla fine del XV da Leonardo da Vinci. Negli Anni ‘30 la maggior parte dei canali fu interrata per lasciare posto alle strade e oggi sono rimasti solo alcuni dei navigli originari. Ma l’acqua scorre ancora abbondante anche sotto la città, grazie a una vasta falda acquifera che, con i circa 2000 km di tubature e condotti dell’acquedotto, soddisfa i bisogni dei milanesi.
Proprio l’acqua è protagonista della prima tappa dell’itinerario che vi proponiamo per scoprire i luoghi della memoria industriale italiana, recuperati e riconvertiti. Potrete, infatti, visitare la Centrale dell’Acqua di Milano, costruita nel 1906, su progetto dell’ingegner Francesco Minorini, per rendere la rete dell’acquedotto milanese ancora più efficiente. Era una centrale di pompaggio, che, grazie a motori a vapore alimentati a carbone e a due pompe centrifughe e due semifisse, pescava acqua dalla falda per pomparla nell’acquedotto. Durante la seconda guerra mondiale fu bombardata, ma non interruppe mai la fornitura di acqua e restò attiva fino alla metà degli Anni ‘80. Dopo essere stata chiusa per quasi 40 anni, fu riaperta nel 2018, ristrutturata grazie a MMspa, società del Comune di Milano che gestisce il Servizio Idrico Integrato della città ed è proprietaria della stessa Centrale dell’Acqua, e trasformata in museo, polo didattico e centro culturale. È un interessante esempio di recupero di architettura industriale. Ogni anno è visitata da oltre 15.000 persone e circa 7.000 bambini ne seguono i percorsi didattici. L’edificio ha un aspetto semplice ma elegante, con le sue finestre slanciate e la facciata incorniciata da fasce in intonaco di cemento lavorato, alternate da inserti in mattoni rossi. Dentro, conserva materiali e attrezzature di fine ‘800 e una ricca collezione di tavole del progetto di realizzazione dell’acquedotto.
Altri esempi di recupero di siti industriali milanesi sono la Fabbrica del Vapore, che in passato produceva treni e tram e oggi è un hub culturale e di divertimento.
Volendo rimanere in tema riqualificazione, ma questa volta non industriale, potreste raggiungere in zona Isola la BAM - Biblioteca degli Alberi, un inconsueto parco pubblico e uno dei più grandi progetti di rigenerazione urbana in Europa.
Il villaggio operaio di Crespi d’Adda
Alla fine dell’800, nel pieno del boom industriale, esistevano rari esempi di un modo di fare industria illuminato, che considerava anche l’essere umano, oltre che le macchine e la produzione. Uno di questi, visibile ancora oggi, è il villaggio operaio di Crespi d’Adda: una vera e propria cittadina, in provincia di Bergamo, che la famiglia titolare della fabbrica volle costruire per i suoi dipendenti e le loro famiglie. Il nome di questi industriali era Crespi: una famiglia di cotonieri lombardi che, a fine ‘800, realizzò un "villaggio ideale del lavoro" accanto al proprio opificio tessile, lungo la riva bergamasca del fiume Adda. Ogni lavoratore aveva a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari. C’era la scuola per i figli dei dipendenti, dove tutto era fornito dalla fabbrica: i libri, le penne, i grembiulini, la refezione, fino allo stipendio e all’alloggio per gli insegnanti. C’erano anche una piscina al coperto, con docce, spogliatoi e acqua calda, l’ospedale e il cimitero.
Il villaggio è abitato ancora oggi: una comunità composta per lo più dai discendenti dei lavoratori della storica fabbrica tessile. È un sito Patrimonio dell'UNESCO, che lo ha definito “Esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio conservato del Sud Europa”.
È un luogo unico, fuori dal tempo, che dovete assolutamente visitare per immergervi nell’atmosfera che si respirava 200 anni fa e scoprire un modo diverso di vivere il mondo del lavoro. Vi consigliamo una visita guidata: è il modo migliore per conoscere il Villaggio, nel rispetto dei suoi abitanti.
Museo della carta a Toscolano Maderno
Spostatevi sul lago di Garda, nel cuore della Valle delle Cartiere, area che dal Medioevo al ‘900 è stata un importante centro di produzione cartaria e oggi è un sito di archeologia industriale tra i più importanti d'Italia. Interessante soprattutto la visita al Museo della Carta di Toscolano Maderno. Anche solo raggiungerlo è un’esperienza unica, che vi porta a immergervi in una natura incantata. Entrati a Toscolano Maderno, subito dopo il ponte sul torrente Toscolano, nei pressi del Municipio, dovrete lasciare la statale gardesana e, dopo aver attraversato alcune gallerie scavate nella roccia, troverete un parcheggio. Dovrete lasciare l’auto e proseguire a piedi o in bicicletta, per immergervi in uno scenario incantato: natura lussureggiante, l'acqua del torrente che scorre e i resti delle antiche cartiere. In pochi minuti raggiungerete il museo, ospitato in un'antica cartiera interamente ristrutturata. All’interno potrete scoprire le tappe della storia della produzione della carta, grazie alle riproduzioni di macchinari e attrezzature dal XV al XIX secolo. Sono esposti anche reperti provenienti dagli scavi archeologici condotti nella Valle delle Cartiere e una collezione di libri stampati da Alessandro Paganini, noto tipografo della prima metà del ‘500, che aveva bottega anche a Venezia. Oltre a eventi, convegni e mostre, il museo organizza laboratori didattici rivolti alle scuole.
Le cave del Predil
Fino alla loro chiusura, intorno alla metà del ‘900, in Italia c’erano fino a 3000 siti minerari, distribuiti su tutto il territorio nazionale, da cui si estraevano in grandi quantità soprattutto carbone, zinco, rame, argento e ferro, tutte risorse fondamentali per l’attività produttiva del nostro Paese. Oggi queste miniere sono state quasi tutte chiuse perché l’attività estrattiva è diventata antieconomica. Alcune, però, sono state recuperate, messe in sicurezza e trasformate in musei. È il caso delle Cave del Predil, situate in una splendida vallata 10 km a sud da Tarvisio, in provincia di Udine. Fino al 1991 qui era attiva una miniera di zinco e piombo, metalli estratti da rocce contenenti i minerali blenda e galena. Le prime testimonianze scritte dell’attività della miniera risalgono al 1320, quando re Federico I d’Asburgo concesse a un consorzio di minatori la coltivazione dei minerali. Ma il sito fu sfruttato soprattutto negli Anni ‘40 e ‘50 del ‘900. Durante la prima guerra mondiale poi, quando questi territori appartenevano all'Impero austro-ungarico, le gallerie furono usate per far transitare le truppe austroungariche verso il fronte di Caporetto.
Oggi è stata trasformata nel Parco internazionale geominerario di Raibl (antico nome delle Cave del Predil). In origine la miniera era formata da un reticolo di 120 chilometri di gallerie su 19 livelli, che permettevano di scendere fino a 520 metri di profondità. Usufruendo di una visita guidata, oggi è possibile percorrere una parte delle gallerie, a piedi o a bordo di un trenino elettrico. La visita permette di conoscere la vita delle migliaia di minatori che lavoravano sottoterra e di scoprire i minerali e le tecniche di estrazione.
Venezia: l’ex Cotonificio oggi sede della facoltà di Architettura
Pochi sanno che Venezia è stata anche un polo d’impresa. Eppure, alla fine dell’800, la Serenissima era l’ottava città industriale d’Italia. Il passaggio dal primato del commercio a quello delle fabbriche avvenne quando, nel 1861, gli austriaci costruirono la stazione di S. Lucia abbattendo l’omonimo convento. Da allora le famiglie più in vista iniziarono a finanziare molti imprenditori europei e, nel giro di pochi decenni, vennero costruite fabbriche di orologi, di pianoforti, di cere, cementifici, mulini, manifatture tabacchi e cotonifici. La vostra visita nella Venezia del turismo industriale inizia proprio nell’ex Cotonificio veneziano, a Santa Marta, affacciato sul Canale della Giudecca: qui fino agli Anni ’60 era un via vai di operai al lavoro, oggi negli stessi spazi potete vedere centinaia di studenti, essendo diventata la sede della facoltà di Architettura, lo IUAV (Istituto Universitario di Architettura di Venezia).
Il Cotonificio fu costruito nel 1883. Nel 1916, durante la prima guerra mondiale, fu bombardato e crollò, ma, una volta finita la guerra, fu ricostruito e la sua attività riprese, anzi aumentò durante la seconda guerra mondiale, perché fu impiegato per produrre divise militari in filo di canapa, rayon e cotone. Dagli Anni ’60 e ’70 iniziò il suo declino e presto chiuse i battenti. Restaurato dallo studio veneziano di Gino Valle, dagli Anni ’80 ospita una parte considerevole dell’università di Architettura, ma anche lo spazio espositivo “Gino Valle” e ArTec – archivio delle tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale. L’edificio è suggestivo e imponente, in mattoni rossi, ma quello che più colpisce sono le “Ali” che troneggiano sul tetto del Cotonificio: un’enorme installazione in legno, simbolo di libertà e leggerezza, realizzata dell’artista Massimo Scolari per la Biennale del 1991, su invito di Francesco Dal Co, direttore della Sezione Architettura.
Nello stesso quartiere, sempre affacciato sul Canale della Giudecca, si trova il complesso quattrocentesco dei Magazzini del Sale, che fungeva da comodo approdo per zattere e altre imbarcazioni che trasportavano merci a Venezia. Venne dunque scelto come deposito per il sale, poi dismesso nel ‘900 e oggi utilizzato come spazio espositivo per mostre ed eventi.
Museo del Patrimonio Industriale a Bologna
La storia “industriale” di Bologna inizia prima della vera rivoluzione industriale: la sua identità manifatturiera nacque nel Rinascimento, durante il boom della seta, di cui il capoluogo emiliano era la capitale europea e che rappresentò per secoli la principale fonte di reddito per la città. Fu merito del sistema di canali che i bolognesi crearono nel Medioevo per portare l'acqua in città. Grazie a ruote idrauliche, fornivano energia per le attività manifatturiere, soprattutto per la produzione della seta. Ma il primato dell’industria serica bolognese fu anche merito di un’innovazione unica, che comportò una meccanizzazione del lavoro ante litteram: il filatoio bolognese, un macchinario automatico per la produzione di filati di seta, che non aveva quasi bisogno dell’intervento dell’uomo, abbassando così i costi di lavorazione pur mantenendo un’ottima qualità del prodotto finale. Nel ‘700, però, il settore tessile bolognese iniziò il suo declino e nell’800 sparì del tutto. Non esiste più nessun filatoio in città, ne è conservata una riproduzione in scala 1:2 nel Museo del Patrimonio Industriale. Proprio questo importante museo è la prossima tappa del vostro itinerario alla ricerca di ricordi del passato industriale del nostro Paese. Ubicato presso l'ex fornace Galotti, che nell’800 produceva mattoni e laterizi, il Museo del Patrimonio industriale fu creato nel 1982 per ripercorrere 500 anni di storia manifatturiera della città di Bologna, dai setifici rinascimentali fino al moderno distretto metalmeccanico. Al piano terra, nel forno Hoffmann, troverete collezioni di strumenti scientifici, modelli e macchinari e la sezione dedicata alla Fornace Galotti. Il secondo piano racconta 5 secoli di storia dell’industria bolognese, dalla produzione della seta a quella meccanica e meccatronica del ‘900. Dal 2019 il museo ospita un’area espositiva chiamata La Fabbrica del Futuro, dedicata alle novità dell'industria contemporanea.
Museo della Ghisa a Longiano
La ghisa, il materiale simbolo dell’industrializzazione: una lega di ferro e carbonio, non troppo costosa, che viene fusa e forgiata grazie a stampi di legno, permettendo così di riprodurre facilmente lo stesso esemplare in più copie identiche. Per questo motivo, a partire dall’800, è stata la protagonista dell’arredo urbano di moltissime città. Dall’800 la produzione di ghisa si diffuse in tutta Europa, soprattutto in Germania e in Francia, ma anche in Italia. A Longiano, piccolo borgo in Emilia, in provincia di Forlì-Cesena, potete ammirare degli splendidi esemplari realizzati in questo materiale, nel Museo della ghisa, realizzato dalla Fondazione Neri, creata dall’omonima azienda che dal 1962 realizza prodotti per l'illuminazione pubblica e l'arredo urbano.
Il museo ha due sedi espositive: l'antica chiesetta di S. Maria delle Lacrime, nel centro storico di Longiano, e l’ex impianto di verniciatura della Neri Spa. Potrete ammirare una sessantina di lampioni realizzati da grandi fonderie ottocentesche. Alcuni sono stati firmati da noti artisti come Duilio Cambellotti ed Ernesto Basile. Ma potrete ammirare anche una parte dell’esposizione in un Museo dell'arredo urbano all'aperto, realizzato dalla Fondazione Neri all'interno dell'ottocentesco giardino pubblico, recentemente restaurato. Qui potrete ammirare 12 candelabri in ghisa realizzati tra il 1860 e il 1900. Splendido il grande gazebo che potrete trovare al centro del giardino e che ripropone il modello del chiosco musicale tipico del XIX secolo.