Sacra di S. Michele a Sant’Ambrogio di Torino
“Come ci inerpicammo per il sentiero scosceso che si snoda intorno al monte, vidi l’abbazia. Non mi stupirono di essa le mura che la cingevano da ogni lato, simili ad altre che vidi in tutto il mondo cristiano (…) ma per la posizione inaccessibile era di quelle più tremenda, e capace di generare timore nel viaggiatore che vi si avvicinasse a poco a poco. E fortuna che, essendo una limpidissima mattinata invernale, la costruzione non mi apparve quale la si vede nei giorni di tempesta.”
La misteriosa abbazia così descritta dalla voce di Adso somiglia alla Sacra di S. Michele: inaccessibile, come sospesa sulle nuvole, quasi irridente le leggi della fisica, così abbarbicata in cima a uno sperone sul monte Pirchiriano, raggiungibile per una mulattiera. Da secoli si erge a presidio della valle, come uno dei simboli del Piemonte, con la sua austerità che si impone a chiunque varchi il suo ingresso. Costruita tra il 983 e il 987, fu un fiorente centro religioso e culturale dei monaci benedettini, oltre che una tappa della Via Francigena, fino al suo declino e alla soppressione del monastero nel 1622, quando diventa rifugio di animali selvatici come cinghiali, cervi e aquile. Oggi, grazie al recupero dei beni culturali, è tornata a suscitare la stessa riverenza di un tempo. Probabilmente la stessa di Adso quando se la trova di fronte e ne varca l’ingresso.
Entrando nella Sacra di S. Michele, invece, vi appariranno numerose opere artistiche. Per prima cosa, sulla facciata dalla ciclopica altezza vi si staglierà davanti la stravagante statua di san Michele Arcangelo di Paul De Doss-Moroder. Poi, salendo lo scalone dei morti (che una volta conservava scheletri dei defunti) osserverete il vero capolavoro della Sacra, il portale dello Zodiaco, scolpito da Maestro Nicolao tra il 1128 e il 1130, con il ciclo dei 12 segni, costellazioni e scene bibliche e mitologiche sulle colonne.
Santuario di Nostra Signora della Guardia a Ceranesi
"D'un tratto ci si trovava come su di una terrazza montana che dava a picco su golfi bellissimi, e dopo non molto si penetrava in gole profonde, dove montagne si elevavano tra le montagne, e l'una ottundeva all'altra la vista della costa lontana, mentre il sole penetrava a fatica in fondo alle valli". Saranno queste parole, di Adso, a venirvi in mente raggiungendo uno dei santuari mariani più importanti d’Italia, Nostra Signora della Guardia nel borgo ligure di Ceranesi . A 804 metri sopra il livello del mare, si respira quell’“alterna lotta del vento” che, come diceva sempre Adso, “sa di balsami marini e dei gelidi soffi rupestri". Umberto Eco ammette di aver avuto più volte in mente, durante la stesura del romanzo, proprio il balcone affacciato sulle alture a circa 20 chilometri da Genova, che nelle giornate limpide spinge lo sguardo fino al profilo della città e oltre, verso le riviere di ponente e di levante.
Abbazia di S. Colombano a Bobbio
“Arrivati al sommo della scala entrammo, per il torrione orientale, allo scriptorium e quivi non potei trattenere un grido di ammirazione. (…) Vidi altre volte e in altri luoghi molti scriptoria, ma nessuno in cui così luminosamente rifulgesse, nelle colate di luce fisica che facevano risplendere l’ambiente.” Così le parole di Adso, cariche di stupore e riverenza, descrivono l’accesso alla sala di copiatura e trascrizione dei testi usata dai monaci dell’abbazia. Una stanza simbolo di luce e chiarezza, l’unica che nel romanzo viene descritta con note di colore e luminosità. Uno spazio che lo scrittore si figura come lo scriptorium dell’Abbazia di S. Colombano, famosa, appunto, per essere il maggiore centro di produzione libraria dell’Italia centro-settentrionale tra il VII e il IX secolo. Pensate, al tempo del suo massimo splendore conteneva più di 700 titoli.
Nella sala di copiatura i due protagonisti del romanzo conoscono colui che ha passato la vita a nascondere un libro (un libro che non doveva essere letto da nessuno) e che è disposto persino a uccidere pur di non permettere la divulgazione delle idee racchiuse tra le sue pagine. Un personaggio che non solo non può vedere la luce dello scriptorium, ma nemmeno quella della ragione e della conoscenza, perché è cieco: gli manca la vista, ma anche la capacità di superare l’estremismo dogmatico della dottrina religiosa.
Da Fiano Romano al Tibet d’Abruzzo, verso Castel del Monte
Per continuare con le suggestioni legate ai luoghi del romanzo “Il nome della rosa”, potete fare una deviazione prima di raggiungere l’ultima tappa ad Andria, fermandovi a visitare le location dell’omonimo film del regista Jean-Jaques Annaud, uscito nel 1986 con protagonisti Sean Connery (Guglielmo da Baskerville) e Christian Slater (Adso), riscostruite nei pressi di Roma a Fiano Romano. Anche la mini serie di 8 puntate ispirata al bestseller è stata girata soprattutto nel Lazio dove molte ambientazioni sono state ricostruite a Cinecittà, mentre le scene esterne avevano come sfondo i paesaggi naturali dei Castelli Romani, tra il Parco Archeologico Culturale del Tuscolo, la valle della Molara, la via Latina e il Vivaro, che chiudono l’orizzonte di Roma verso Sud, con colline verdissime punteggiate di laghi e boschi, ville e abbazie, vigneti.
Così come l’Abruzzo è stato lo scenario delle indimenticabili riprese dei due monaci, che avanzano a dorso di mulo sul sentiero lungo le lande deserte per raggiungere l’abbazia. Sono state girate a Campo Imperatore, anche conosciuto come il Tibet d’Abruzzo, un altopiano di origine glaciale a circa 1800 metri di quota nel Parco Nazionale del Gran Sasso.
Castel del Monte, Andria
Se lo scriptorium rappresenta la luce, la biblioteca è metafora del buio, un luogo dalle alte mura e dalla forma labirintica dietro cui si cela il simbolo del difficile percorso verso la conoscenza e il sapere. “La biblioteca è un labirinto, segno del labirinto del mondo.
Entri e non sai se uscirai. Non bisogna violare le colonne d’Ercole.” La biblioteca è inaccessibile ai monaci, tranne che al bibliotecario e a chi sa come entrare senza farsi scoprire. Adso e Guglielmo sanno che la soluzione dell’enigma della catena di omicidi è la biblioteca. E capiscono grazie al loro acume e allo sforzo di cervello e ragionamento come muoversi tra le stanze del labirinto in cui si celano trabocchetti e tranelli. È Adso che nel libro ne disegna la mappa, evidenziando la forma ottagonale con i quattro torrioni, una sagoma liberamente ispirata all’iconico Castel del Monte in Puglia, l’edificio capolavoro dell’architettura sveva, patrimonio Unesco, e simbolo della ripetizione del numero 8: ottagono, con torri ottagonali, cortile ottagonale, 8 stanze per ciascun piano.
Pare che l’idea originaria del numero 8 fu concepita dallo stesso imperatore Federico II di Svevia che fece costruire il castello, uomo colto e appassionato anche di esoterismo. Nell’architettura del castello si intrecciano infatti valori astronomici, geometrici e matematici, le proporzioni sono determinate in base agli effetti che il movimento del sole con le sue ombre proietta traiettorie dense di significati simbolici.
Si conclude qui l’itinerario che ha svelato le varie anime dei luoghi in cui si muovono i personaggi, d’altro canto gli stessi luoghi ci aiutano a scoprire i risvolti dell’anima dei protagonisti.