Piazza del Duomo e di S. Giovanni
Il centro di Firenze è un luogo ricco di memorie dantesche, come indicato innanzitutto da due lapidi nei pressi del Battistero. Sono 2 delle 34 lapidi dantesche disseminate per la città, recanti una sorta di ipertesto ante litteram che riporta una o più terzine della “Divina Commedia”, un’installazione realizzata all’inizio del ‘900. Delle 2 lapidi vicino al Battistero, una recita “Il mio bel San Giovanni”, come Dante stesso appellò il Battistero nel quale venne battezzato nel 1266. L’altra, tratta dal “Paradiso”, si trova sul lato rivolto verso il Duomo ed esprime la speranza di poter tornare un giorno a Firenze. Ma Dante non tornò mai dall’esilio che gli venne imposto nel 1302, ed è da escludersi che abbia potuto vedere qualcosa di più che le fondamenta del Duomo di S. Maria del Fiore, la cui edificazione venne avviata nel 1296, né del Campanile di Giotto.
Un altro segno dantesco si trova sull’edificio a destra del Duomo, dov’è incastonata una lapide che riporta la scritta “Sasso di Dante”. Si riferisce a una leggenda secondo la quale nel ‘200 qui c’era un pietrone su cui il poeta era solito sedersi e meditare. Il sasso, sempre secondo la leggenda, sarebbe stato spostato nella vicina piazza delle Pallottole dove effettivamente, vicino a una porta, si può osservare un grande masso con tanto di targa, non sufficiente ad attestarne l’autenticità. Si viene comunque ripagati dalla bella vista della piazzetta dove i fiorentini giocavano a bocce (le pallottole, appunto) schiude sulla cupola del Brunelleschi.
Imboccando invece via dei Martelli, che dalla piazza S. Giovanni si dirige verso nord, si raggiunge palazzo Medici-Riccardi, legato alla memoria di Niccolò Machiavelli. Costruito tra il 1445 e il 1455 da Michelozzo per Cosimo il Vecchio e ampliato 2 secoli più tardi dai nuovi proprietari, i Riccardi, questo magnifico esempio di palazzo rinascimentale fu la prima dimora signorile propriamente intesa di Firenze. Oggi sede del Consiglio Metropolitano, è ritenuto dagli studiosi il luogo in cui, nel 1518, andò in scena per la prima volta “Mandragola”, la commedia in 5 atti di Machiavelli, considerata un classico della drammaturgia italiana. Lo spettacolo venne organizzato per le nozze di Lorenzo di Piero de’ Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico, cui Machiavelli dedicò anche “Il Principe”.
Museo Casa di Dante e quartiere dantesco
Sebbene non esista più, è certo che la casa del Sommo, oggi Museo Casa di Dante, fosse al centro del quartiere compreso fra piazza del Duomo e piazza della Signoria, che ancora conserva scorci medievali, con case-torri di pietra che svettano sui vicoli tortuosi. Si tratta di una zona ricca di memorie dantesche come sottolineato dalle numerose lapidi incastonate sulle pareti delle case, che riportano terzine della “Commedia”. A 20 metri dal Museo Casa di Dante si trova la chiesina di S. Margherita de’ Cerchi, dove Dante sposò Gemma Donati intorno al 1285 e dove probabilmente conobbe Beatrice Portinari. Documentata già dal 1032 e più volte rimaneggiata, la chiesa custodisce all’interno una prestigiosa pala di Lorenzo di Bicci.
Poche vie più in là la chiesa di Orsanmichele fu di ispirazione per una scena della “Divina Commedia”. All’epoca di Dante al posto della chiesa c’era un mercato; su un pilastro della loggia che accoglieva i banchi qualcuno affisse un’immagine della Vergine Maria che in breve tempo divenne oggetto di culto devozionale con i fedeli che, tutt’intorno, innalzavano canti e preghiere. Dante assistette al fatto e se ne servì per descrivere con vividezza una scena nella quale un gruppo di anime si riunisce per cantare una lode. Di fronte a Orsanmichele, il palazzo dell’Arte della Lana, un tempo sede della potentissima corporazione, accoglie la Società Dantesca Italiana che organizza periodiche “Lecturae Dantis”.
Lungo via del Proconsolo si susseguono altri luoghi interessanti. Al civico 6, il palazzo dell’Arte dei Giudici e Notai custodisce i più antichi ritratti di Dante e di Boccaccio, nell’ambito di un ciclo di affreschi purtroppo assai danneggiato ma ancora leggibile: realizzato da Jacopo di Cione intorno al 1366, era un’opera tesa a omaggiare proprio i poeti fiorentini e offre una rappresentazione di Dante un po’ diversa da quella diffusasi in seguito. A pochi passi, la Badia Fiorentina è il luogo dove Dante incontrò da adulto Beatrice e dove Boccaccio tenne le letture pubbliche della “Divina Commedia” dal 1373 al 1375.
Piazza della Signoria e dintorni
Tra le più splendide d’Italia, piazza della Signoria si lega soprattutto a Niccolò Machiavelli che lavorò come politico e diplomatico proprio in questi luoghi, e nel frattempo elaborò le teorie che avrebbe poi spiegato e sviluppato ne “Il Principe”, il saggio critico di dottrina politica, fondamentale per la scienza politica moderna.
Furono anni molto agitati quelli tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, nei quali la piazza fu il teatro di un turbinoso susseguirsi di fatti e capovolgimento di fronti. Nel 1494 i fiorentini, ispirati dalle prediche infuocate di frate Girolamo Savonarola, cacciarono Piero II de' Medici e istituirono la Repubblica. 4 anni più tardi il Savonarola venne arso vivo proprio in piazza, che era anche il luogo delle esecuzioni pubbliche e una targa vicino alla fontana del Nettuno ricorda il fatto. L’esecuzione, tuttavia, non determinò la fine immediata della Repubblica, che sopravvisse fino al 1512 anche grazie all’apporto di Machiavelli che rivestiva la carica di secondo Cancelliere.
L’aspetto di Palazzo Vecchio come lo vediamo oggi deve molto a quegli anni: le sculture, un tempo proprietà dei Medici, vennero esposte e messe a disposizione del popolo; inoltre, per le riunioni del Gran Consiglio della Repubblica, venne creato il grandioso salone dei Cinquecento, chiamando nientemeno che Michelangelo Buonarroti e Leonardo da Vinci per gli affreschi, anche se il lavoro non fu mai completato. Oggi il percorso storico “Tracce di Firenze” allestito all’interno di Palazzo Vecchio illustra questi anni rocamboleschi con dovizia di particolari.
Accanto a piazza della Signoria, c’è un omaggio agli uomini illustri toscani nel piazzale degli Uffizi che si allunga verso l’Arno, coronato da un’infilata di statue di realizzazione ottocentesca sulla base di un progetto già cinquecentesco. Le statue di Dante, Boccaccio e Machiavelli sono tutte e tre sul lato sinistro del loggiato.
S. Croce e dintorni
In una piazza tra le più belle e vaste della città, utilizzata nel Rinascimento per giochi, giostre e partite di calcio fiorentino, la basilica di S. Croce è affiancata da una statua ottocentesca di Dante sotto la quale i fiorentini usano darsi appuntamento. La trecentesca chiesa custodisce le spoglie di Niccolò Machiavelli insieme a quelle di molte altre personalità illustri italiane. Sempre in S. Croce, numerose cappelle appartenenti alle grandi famiglie fiorentine, fra cui i Medici e i Pazzi, scandiscono il transetto e tra di esse c’è anche la cappella dei Bardi, la grande famiglia di mercanti e banchieri presso cui Boccaccino di Chellino, padre di Giovanni Boccaccio, lavorava come agente di cambio. La decorazione della cappella, purtroppo in parte danneggiata, venne affidata a Giotto che intorno al 1325 realizzò un ciclo di pitture a secco dedicato a san Francesco d'Assisi.
A pochi passi dalla basilica di S. Croce, lungo via Isola delle Stinche si incontra un’edicola votiva che richiama la presenza in zona della prigione delle Stinche, situata dove oggi è il Teatro Verdi. Fra i detenuti delle Stinche ci fu anche Niccolò Machiavelli, incarcerato per motivi politici quando il governo repubblicano ispirato dal Savonarola cadde e i Medici tornarono al comando di Firenze.
Sempre nei dintorni di S. Croce, all’incrocio tra Borgo degli Albizi e via Matteo Palmieri si apre piazza S. Pier Maggiore, cuore del quartiere popolare dove molto probabilmente crebbe il Boccaccio, insieme al padre Boccaccino, di cui era figlio illegittimo.
S. Trinita e dintorni
Crocevia cittadino già nel ‘200, quando venne gettato un primo ponte in legno sull’Arno, la zona della basilica di S. Trinita custodisce, insieme a suggestivi scorci medievali, alcune memorie dantesche. Qui, innanzitutto, scoccò la scintilla che ebbe come conseguenza l’esilio del Sommo Poeta. I fatti ci sono noti perché è Dante stesso a raccontarci, nella “Divina Commedia”, la cosiddetta congiura di S. Trinita, scaturita da una rissa fra guelfi bianchi (di cui faceva parte Dante) e guelfi neri in occasione di una festa in piazza S. Trinita, il primo maggio del 1300.
A pochi passi anche Piazza del Limbo si lega a Dante. Qui c’era infatti il cimitero dei bambini morti prima di essere battezzati, che si riteneva destinati a riposare in una dimensione celeste a loro dedicata, chiamata limbo, dal latino limbus, bordo. All’epoca di Dante era in corso un vivace dibattito sulla natura e le caratteristiche del limbo, da cui Dante attinse per figurarsi quello della “Commedia”, che situò nel primo cerchio dell’Inferno e riservò non solo ai bambini non battezzati ma anche ai non battezzati che sono stati umanamente grandi. Nel limbo dantesco ricadono dunque tutti i grandi personaggi della storia precristiana, i filosofi greci, Giulio Cesare e anche Virgilio, che solo temporaneamente lascia il limbo per accompagnare Dante nel suo viaggio.
Sulla piazza del Limbo si trova la bella chiesa romanica dei Ss. Apostoli, rimasta in gran parte com’era ai tempi di Dante e Boccaccio.
S. Maria Novella
“Nella venerabile chiesa di Santa Maria Novella, un martedì mattina, non essendovi quasi alcuna altra persona, [...] si ritrovarono 7 giovani donne...”. Così recita l’introduzione del “Decameron” che, com’è noto, racconta di 10 giovani (7 donne e 3 uomini) che, per mettersi al riparo dalla peste del 1348, si ritirano per 10 giorni in una villa di campagna e ingannano il tempo raccontandosi ogni giorno una storia nuova. Il “Decameron” è dunque una raccolta di 100 novelle di vario genere, ma più spesso di taglio umoristico e “boccaccesco”, come si cominciò a dire in seguito.
La scelta di far cominciare la vicenda da S. Maria Novella dove i ragazzi decidono di scappare insieme da Firenze, può essere legata al fatto che nel ‘300 la chiesa era ancora situata fuori dalla cerchia di mura e circondata da terreni agricoli, come lascia intendere anche il toponimo della vicina via delle Vigne; inoltre il convento di S. Maria Novella era sede accademica di rilievo, abitualmente frequentata da giovani (qualche decennio prima, anche da Dante). Ma senza dubbio giocò un ruolo determinante, per Boccaccio, il nome stesso della basilica, che prelude al tempo che i 10 trascorreranno insieme “novellando”.
Boccaccio cominciò a scrivere il “Decameron” nel 1349, quando ancora la città era alle prese con le conseguenze dell’epidemia che causò la morte di quasi un terzo della popolazione, fra cui anche il padre di Giovanni e la matrigna. Si può pensare che anche Boccaccio stesso cercasse nella scrittura un sollievo, al pari dei suoi personaggi.
Nelle vicinanze di S. Maria Novella, altri luoghi sono menzionati nell’opera: l’antichissima chiesa di S. Paolino compare nella settima novella della quarta giornata, che racconta la tragica fine di due giovani innamorati che muoiono dopo aver mangiato la salvia; nella settima novella dell’ottava giornata viene menzionata invece la chiesa di S. Lucia al Prato come luogo di incontri licenziosi.
Certaldo
Nato da una relazione extraconiugale del padre con una donna ignota, non è certo che Giovanni Boccaccio sia nato a Certaldo: alcuni studiosi propendono per Firenze e in passato si è perfino pensato a Parigi dove il padre si recava per lavoro, un’ipotesi poi scartata. Tuttavia Giovanni Boccaccio usava dichiararsi “de Certaldo” e tanto ci basta.
Il borgo della Val d'Elsa ha rappresentato per lo scrittore un punto fermo in una vita abbastanza movimentata, che lo portò a vivere una decina d’anni a Napoli (che amò moltissimo) e brevi periodi a Ravenna e a Forlì, e che lo costrinse a dividersi fra 2 lavori, le amate lettere da una parte e gli incarichi diplomatici dall’altra, necessari per guadagnare a sufficienza per mantenere tutta la famiglia, specialmente dopo che gli affari del padre andarono in rovina. Boccaccio tornava periodicamente nella sua casa di Certaldo, qui decise di ritirarsi quando sentì avvicinarsi la fine e dette mandato di venire sepolto in paese anziché nella nobile Firenze.
Oggi Certaldo ricambia l’affetto e la devozione lungo tutto il corso dell’anno con eventi che omaggiano lo scrittore: a giugno va in tavola la cena medievale in costume “A Cena da Messer Giovanni”, a luglio si assegna il Premio Letterario Giovanni Boccaccio, e a ottobre si tiene la sagra gastronomica Boccaccesca, in collaborazione con Slow Food.