Subbiano e dintorni
Arrivando dalla piana di Arezzo, a darvi il benvenuto nel Casentino sono Subbiano e le sue frazioni. Porta d’ingresso alla vallata è la contrada di Castelnuovo: a ovest già si intravedono in lontananza le propaggini meridionali del Pratomagno, massiccio che costeggia la vallata per tutta la sua lunghezza, mentre a est, parzialmente celato dalla vegetazione, il castello dei Della Fioraia fa da sentinella all’abitato con la sua massiccia torre quadrata coronata da eleganti beccatelli in pietra. È il primo dei numerosi fortilizi che incontrerete attraversando il Casentino, territorio avvolto da un’autentica atmosfera medievale. Come quella che si respira nel centro storico di Subbiano una volta raggiunti i resti dell’austero castello, svettante su uno sperone roccioso a ridosso della riva sinistra dell’Arno. Qualche chilometro più a nord, alle pendici della boscosa Alpe di Catenaia, il castello di Valenzano vi proietta invece nel Medioevo idealizzato dall’immaginario romantico. Immerso in una natura intatta e lussureggiante, il maniero sorge sul sito di un’antica roccaforte degli Ubertini, potente casato ghibellino originario di queste terre, riedificato alla fine del XIX secolo in forme neogotiche, trasformandosi in un luogo fiabesco ornato da pinnacoli, merlature, raffinate bifore e aggraziati archi ogivali, sotto ai quali non è difficile immaginare una dama a passeggio con cavaliere al seguito.
Castel Focognano
Riscendendo a fondovalle si entra nel territorio di Castel Focognano. Sulla strada regionale che attraversa il Casentino s’incontra per prima Rassina, moderna sede municipale distesa sulla sponda sinistra dell’Arno; da qui attraversate il fiume e puntate verso le alture del Pratomagno, dov’è incastonato il paesino che dà il nome al comune. Lungo la salita si trova la pieve di S. Antonino a Socana, suggestiva chiesetta edificata attorno all’XI-XII secolo sul sito di un santuario etrusco, i cui resti sono ancora parzialmente visibili all’esterno, proprio all’ombra dell’abside. Proseguendo verso ovest la vegetazione si fa via via più fitta, per poi lasciare spazio alle prime abitazioni di Castel Focognano: il nucleo dell’abitato, in posizione leggermente rialzata, sorge sulle fondamenta di un antico castello raso al suolo nel XIV secolo, di cui sopravvive una possente torre di ronda poligonale, un tempo parte delle mura difensive. Un saliscendi di vicoletti e cunicoli si sviluppa attorno ai due edifici maggiori, la chiesa di S. Giovanni Evangelista e il palazzo podestarile, passando accanto a rustiche ma ben curate case in pietra e a una graziosa loggetta impreziosita da stemmi araldici.
Santuario della Verna
Il secondo giorno è dedicato alla scoperta di uno degli aspetti che rendono speciale il Casentino: il suo rapporto con il sacro. Nel corso dei secoli i placidi scenari campestri e, soprattutto, gli appartati declivi montani che racchiudono il fondovalle hanno visto nascere eremi e santuari intrisi di spiritualità. In epoca medievale il territorio era inoltre attraversato dalla via Romea Germanica, il cammino devozionale che congiungeva il Nordeuropa alla Città Eterna. Per ripercorrere le orme dei pellegrini salite al monte Penna, il “crudo sasso” di dantesca memoria dove san Francesco ricevette le stimmate. Il santuario francescano si trova abbarbicato sul versante sud-occidentale dell’altura, facilmente raggiungibile dal sottostante paesino di Chiusi della Verna. Rimarrete ammaliati dall’armonia con cui fede, paesaggio, arte e architettura si fondono: oltre a essere un luogo di raccoglimento e uno dei siti più significativi per il culto del poverello d’Assisi, il complesso custodisce capolavori in ceramica di Andrea della Robbia tanto nella cappella di S. Maria degli Angeli quanto nella basilica di S. Maria Assunta, dove si venerano anche alcune preziose reliquie, tra cui il sangue e il saio del santo. Di fronte, l’ampia piazza del Quadrante è un incredibile balcone panoramico sulle distese collinari, un luogo ideale per contemplare la bellezza della natura come da insegnamento francescano.
Camaldoli
Camaldoli è l’altro grande centro di spiritualità del Casentino. Siamo ormai nel cuore del parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, istituito a tutela del rigoglioso manto verde esteso tra Toscana ed Emilia-Romagna. Incassato in uno stretto avvallamento sorge il monastero, che mantiene le sobrie forme cinque-seicentesche raccolte attorno un elegante chiostro centrale. Nato come semplice ospizio per accogliere religiosi e pellegrini e dare assistenza agli infermi, conserva la memoria dell’antica attività nella farmacia storica, dove potrete approfondire i segreti dell’arte speziale custoditi dai monaci. Per i trekkers più allenati, alle spalle del complesso si snoda un percorso escursionistico (parte del più esteso sentiero delle Foreste Sacre) che in qualche ora conduce a Badia Prataglia e all’antica chiesa abbaziale. Salendo invece per 3 km in direzione nord, attraversata una fitta boscaglia raggiungerete l’eremo, nucleo originario della congregazione camaldolese. Giunti al romitorio indovinerete facilmente perché san Romualdo scelse questo sito per fondare la piccola comunità ispirata alla regola benedettina: la radura su cui si distribuiscono la chiesa e le celle dei monaci è un’oasi di pace e serenità racchiusa da una lussureggiante abetaia, dove gli asceti vivono ancora in totale armonia con l’ambiente naturale.
Bibbiena
Il terzo giorno si torna in fondovalle, per dirigersi verso Bibbiena, il “capoluogo” del Casentino. Inoltrarsi nell’intreccio di viuzze del centro storico, adagiato su un modesto colle, è come fare un viaggio a ritroso nella storia del borgo antico: affacciate sulla piazza Tarlati, le rustiche murature in pietra della torre dell’Orologio, unica testimonianza rimasta dell’antico castello, denunciano l’origine medievale, così come la vicina propositura di S. Ippolito Martire, misurato edificio di foggia romanico-gotica e incredibile galleria d’arte sacra tre-quattrocentesca. Sono invece di fattura rinascimentale palazzo Dovizi e la prospiciente chiesa di S. Lorenzo, i cui interni custodiscono due grandi pale d’altare in ceramica attribuite ai Della Robbia. Seicentesco è invece palazzo Niccolini, sede del Museo Archeologico del Casentino. Proseguendo lungo la stessa via vi imbatterete in una severa facciata neoclassica scenograficamente incastonata lungo la fila di caseggiati storici: è l’oratorio di S. Francesco, piccolo gioiello dai vezzosi interni rococò. Scendendo lungo il versante orientale dell’altura e imboccando una stradina di campagna arriverete in breve a un rinomato luogo di devozione del Casentino, il santuario di S. Maria del Sasso, che prende il nome dalla roccia dove secondo la tradizione nel 1347 ebbe luogo una miracolosa apparizione mariana.
Poppi
Se Bibbiena è il centro più popoloso e dinamico del Casentino, Poppi è il borgo che meglio ne simboleggia il retaggio storico. A grandeggiare sull’abitato con il suo inconfondibile profilo possente e altero è il duecentesco castello dei Conti Guidi, uno dei monumenti più riconoscibili dell’intera valle. Ben visibile già dalla pianura circostante, vi si svelerà in tutta la propria imponenza una volta raggiunta la spianata sulla sommità del poggio che sovrasta il paese. Le compatta sagoma squadrata, animata dalla torre che svetta dal prospetto principale, è già di per sé uno spettacolo di grande impatto, ma scenari persino più suggestivi vi attendono appena attraverserete il ponte in pietra che conduce all’interno della rocca, dove la corte interna, costellata dagli stemmi delle famiglie vassalle del potente casato dei Guidi, stupisce per il vertiginoso sviluppo verticale, tracciato da un sontuoso scalone e dai ballatoi in legno. La visita prosegue sempre con lo sguardo all’insù, verso la cima della torre, raggiungibile risalendo un centinaio di gradini, o sulle pareti della cappella, impreziosite da uno splendido ciclo di affreschi a firma di Taddeo Gaddi, allievo di Giotto, raffigurante le Storie della Vergine, san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista. Non è solo il castello a fare di Poppi uno dei borghi più belli d’Italia: atmosfere evocative avvolgono per intero l’abitato antico, racchiuso nella cinta muraria medievale e abbellito da portici, palazzi signorili e dai due principali edifici di culto, la romanica chiesa di S. Fedele e il seicentesco oratorio della Madonna del Morbo, intrigante esempio di architettura barocca distinguibile per la pianta esagonale e l’elaborata cupola a squame.
Pratovecchio Stia
L’itinerario si conclude all’ombra del monte Falterona, dedicando l’ultima giornata al territorio comunale di Pratovecchio Stia, gremito di testimonianze storico-architettoniche del Medioevo casentinese armoniosamente inserite nel circostante paesaggio collinare. Fin dal margine meridionale della frazione di Pratovecchio vedrete stagliarsi a ovest l’altura isolata che ospita le rovine del castello di Romena. Finemente restaurate all’inizio del XX secolo, rievocano la passata grandiosità della rocca, di cui sopravvivono 3 torri e parte della cinta muraria a protezione dell’antica piazza d’armi, dove oggi si passeggia all’ombra di una pittoresca cornice di cipressi. Ai piedi del poggio vi aspetta un altro gioiello medievale, la pieve di S. Pietro; eccezionale attestazione di architettura romanica risalente alla metà del XII secolo, stupisce per l’elaborato prospetto posteriore percorso da file di semicolonne e per le arcaiche rappresentazioni scolpite sui capitelli delle colonne all’interno. Da Stia si sale invece alla solitaria torre di castello di Porciano o al terrazzo panoramico del santuario della Madonna delle Grazie, dove nel 1428 avrebbe fatto la sua apparizione la Vergine Maria. Se preferite scenari più moderni rimanete in paese e fate visita all’ex Lanificio, significativo esempio di archeologia industriale riconvertito a sede del Museo dell’Arte della Lana della Fondazione Luigi e Simonetta Lombard. Un percorso tra strumenti artigianali e imponenti macchinari meccanizzati vi porterà indietro nel tempo, a quando Stia era un prospero centro del tessile specializzato nel celebre panno casentino, la resistente stoffa dalla caratteristica superficie riccioluta nata nel Medioevo per tenere al caldo pastori e contadini e diventata dall’800 uno dei tessuti ricercati dall’haute couture.