Duomo (Cattedrale di S. Cataldo)
L’itinerario comincia dal Duomo di Taranto, che sorge in un luogo di fede e preghiera fin dall’epoca della colonizzazione greca. Con la sua sola presenza testimonia l’ininterrotta tradizione spirituale di Taranto, che da pagana divenne cristiana nel VII secolo grazie alla predicazione di san Cataldo, un monaco arrivato in Puglia dall’Irlanda. Il Duomo venne infatti costruito proprio dove, in tempi lontanissimi, già si ergeva un tempio greco, poi sostituito da una chiesa voluta dall’imperatore di Bisanzio: i lavori iniziarono nella seconda metà dell’XI secolo per onorare il rinvenimento delle reliquie di san Cataldo, morto a Taranto nel 685 d.C.
Si consiglia di visitare, dunque, il cappellone di S. Cataldo, dove sono conservati i resti del santo. È lo spazio più sontuosamente decorato della cattedrale, un trionfo di arte barocca che si apre in fondo alla navata destra. Fu realizzato nella seconda metà del ’600 con una gran quantità di tarsie marmoree, stucchi e statue, a decorare un’ellisse coperta da una cupola: un cielo artificiale dove va in scena la “Gloria di S. Cataldo”, affrescata nel 1713 da Paolo De Matteis. Al patrono è dedicata la festa di S. Cataldo, che tradizionalmente inizia un paio di giorni prima del 10 maggio, quando il calendario ricorda il santo. Assicuratevi di partecipare al momento fondamentale della festa, cioè la cerimonia del privilegio, che prevede l’incontro ufficiale tra il vescovo e le autorità civili e la consegna della statua argentea del patrono nelle mani del sindaco. Poi si tiene la processione a mare: il simulacro del santo viene imbarcato su una nave della Marina Militare che salpa dal Molo S. Eligio della città vecchia, seguita da una schiera di motoscafi e altre imbarcazioni di devoti e pescatori, e solca il canale navigabile in modo da toccare sia il Mar Grande sia il Mar Piccolo. Una volta sbarcato, san Cataldo torna a casa con una processione a terra che risale da piazza Castello lungo via Duomo: la orlano palazzi che presentano sulle gronde o in facciata mascheroni e decorazioni che ricordano le antefisse dei templi greci. La via, da sempre arteria della città vecchia, ricalca l’asse viario di “Taras”, la Taranto greca; lo dimostrano anche le due colonne che si innalzano proprio all’altezza di piazza Castello, eredità di un tempio dorico.
Il canale navigabile è il cordone ombelicale che unisce le due anime marinare di Taranto: fin dal 1481 collega la rada del Mar Grande alla laguna interna del Mar Piccolo. Venne scavato per isolare e proteggere la città vecchia all’epoca delle scorribande dei Turchi, quando la paura dilagava in tutta la Puglia. In tempi più pacifici, perdute le funzioni difensive, il canale è diventato un simbolo dell’identità tarantina, un punto focale delle grandi manifestazioni popolari, e non potrebbe essere diversamente: siamo nel cuore della città e la scenografia è strepitosa, un rettilineo d’acqua di quasi 400 metri con il castello aragonese a dominare la sponda della città vecchia e corso Due Mari a fare da balcone panoramico, con tanto di ringhiera d’epoca, dal lato opposto, lungo la sponda del Borgo. Sul canale non solo potete vedere sfilare la processione a mare della festa di S. Cataldo, che qui vive il suo momento più emozionante, ma anche lo sprint finale delle regate per eccellenza, quelle del palio di Taranto, in cui competono le barche a remi dei dieci rioni della città. Il palio si tiene in due momenti distinti: la prima manche è a inizio maggio, negli stessi giorni della festa patronale, e la seconda a luglio, in genere attorno al giorno 20. Si tratta di compiere per intero il periplo della città vecchia fino a raggiungere il traguardo del ponte S. Francesco di Paola, il ponte girevole che collega la città vecchia al Borgo. Considerate che ogni apertura del ponte è quasi un piccolo evento cittadino: una cerimonia laica necessaria per il passaggio delle navi militari che si spostano tra il Mar Grande e l’Arsenale militare marittimo, che si affaccia sul Mar Piccolo. Insieme ai parenti e agli amici dei membri dell’equipaggio, a salutare le navi dalla sponda antistante al castello si affacciano anche due gigantesche figure stilizzate in bronzo: sono i protagonisti del monumento al Marinaio di Taranto, che da cinquant’anni si affaccia sul tramonto.
MArTA - Museo Archeologico nazionale di Taranto
Non potete dire di conoscere Taranto se non siete stati al MArTA, che è molto più di un grande museo archeologico. È il custode dei segreti e dei tesori antichi della città, uno scrigno che conserva, tra mille altri reperti, inestimabili gioielli funerari del IV-III secolo a.C. che costituiscono la raccolta degli Ori di Taranto. Tutto è racchiuso in un ex convento del borgo, un edificio che è esso stesso un pezzo di storia tarantina. Le sue collezioni raccontano le origini della città, la precocissima colonizzazione, iniziata già nell’VIII secolo a.C. con la fondazione di “Taras” da parte degli spartani e poi la sua fase di massimo splendore al tempo della Magna Grecia e tutte le vicende dell’epoca romana. La copia della statua di Persefone in trono trovata nel centro della città (quella originale, rubata, oggi è a Berlino) spiega perché gli archeologi ritengano che il tempio dorico della città vecchia non fosse dedicato a Poseidone, come si è a lungo creduto, ma a una divinità femminile. Le tombe e i corredi funerari esposti nelle sale del museo vi invitano a esplorare le aree archeologiche distribuite non solo nelle campagne circostanti ma anche nel tessuto urbano del Borgo, ad esempio in via Marche e tra via Pitagora e via Crispi.
Chiesa di Maria Santissima del Monte Carmelo (o del Carmine)
Nel borgo, è d’obbligo una sosta a quella che tutti chiamano confidenzialmente chiesa del Carmelo, abbreviando il nome ufficiale di chiesa di Maria Santissima del Monte Carmelo, perché custodisce una coppia di statue che in città sono celebri e venerate quanto l’effigie di san Cataldo in Duomo. Le statue raffigurano il Cristo morto e la Vergine Addolorata: vennero commissionate, nei primissimi anni del ’700, dal nobile tarantino don Diego Calò ad artisti napoletani e donate dai suoi eredi, pochi decenni più tardi, all’Arciconfraternita del Carmine. Fin dai tempi di don Diego, ogni anno sono al centro dei riti della Settimana Santa, la tradizione tarantina per eccellenza, e in particolare della processione del Venerdì Santo o dei Misteri, che parte proprio dalla chiesa del Carmine. Fu lo stesso Calò a riunire le Confraternite di Taranto e a dare inizio a questa usanza. In seguito, alle due statue del Cristo e dell’Addolorata se ne aggiunsero altre, raffiguranti i momenti della Passione e della morte di Gesù, portate anch’esse in processione.
La chiesa del Carmine è protagonista anche nel pomeriggio del Giovedì Santo, quando dal suo interno escono a cadenza regolare le poste dei Perdoni, cioè coppie di confratelli del Carmine che, in camice e cappuccio bianchi, con guanti dello stesso colore e un lungo bastone tra le mani, camminano scalzi e si dondolano lentamente: con questa particolare andatura, chiamata “nazzicata”, compiono il giro delle parrocchie del borgo e dell’Isola (la città vecchia) dove sono allestiti gli altari della Reposizione o Sepolcri.
Nella città vecchia si trova l’altro polo principale delle celebrazioni pre-pasquali, “alter ego” della chiesa del Carmelo. È l’antica chiesa di S. Domenico Maggiore che custodisce un’altra statua dell’Addolorata: se alla prima fa riferimento l’Arciconfraternita del Carmine, questa è affidata alla Confraternita di Maria SS. Addolorata e S. Domenico, nata nel 1670 e protagonista della processione del Giovedì Santo o dell’Addolorata.
Mar Piccolo
Nella vita di Taranto ci sono due tradizioni che, in particolar modo, segnano profondamente l’identità della città ed entrambe gravitano sul cosiddetto Mar Piccolo, una laguna costiera così vasta (circa 20 chilometri quadrati) da sembrare un mare interno. La prima tradizione riguarda la presenza fissa di navi militari e di marinai imbarcati sui mezzi della Marina, che sul Mar Piccolo ha uno dei suoi tre arsenali ancora attivi. Inaugurato nel 1889, l’Arsenale militare marittimo di Taranto si estende dal borgo fino al ponte Aldo Moro, occupando un territorio di circa 90 ettari. La seconda, invece, riguarda la cucina e più in generale la gastronomia, che ha i suoi punti di forza nel pesce e nei molluschi, da assaggiare assolutamente: dalle ostriche alle cozze, allevate in grandi quantità in questa pescosissima laguna. La mitilicoltura è favorita anche dalla presenza di sorgenti d’acqua dolce, chiamate localmente “citri”: il merito, dice la leggenda, è di san Cataldo, che le avrebbe fatte sgorgare gettando il suo anello nel Mar Piccolo. Dalla tradizione religiosa si passa a quella culinaria in una sola mossa, insomma. Alla leggenda verrebbe quasi da crederci, quando si assaggia il miracolo culinario di una zuppa di cozze alla tarantina o di un piatto di cavatelli fagioli e cozze.