Benvenuti alla Scala del Calcio, lo stadio di San Siro
A Milano i turisti arrivano per motivi assai diversi: c’è chi arriva per la moda e si perde nelle vie del Quadrilatero, chi per vedere il Duomo, il Cenacolo e la Pinacoteca di Brera; chi la sceglie per sentire la lirica alla Scala. E poi c’è chi vuole andare a un’altra Scala, quella del calcio: lo stadio Giuseppe Meazza, per la maggioranza semplicemente San Siro, dal nome del quartiere in cui è stato edificato grazie ai soldi di Piero Pirelli, all’epoca presidente del Milan. Quando si esce dalla fermata della metropolitana tutti sono rapiti dalla struttura del Meazza: un colosso di 60 metri che nei giorni di partita ribolle come un vulcano e negli altri sembra un tempio. Ma l’arrivo più scenografico è quello da piazzale Lotto, la lunga passeggiata che costeggia l’Ippodromo, con il grande cavallo di Leonardo che troneggia nel giardino.
Visto da fuori lo stadio potrebbe non essere così impressionante, ma dentro è la perfezione, la chiesa laica disegnata per vedere al meglio il gioco del calcio, quale che sia il posto in cui ci si accomoda, dal primo al terzo anello. Quando non ci sono partite il piazzale è lo stesso frequentato: sono i turisti che vanno al Museo di San Siro, un museo che racconta la storia dell’impianto inaugurato nel 1926, raccoglie i cimeli delle tante partite importanti (finali di Coppa Campioni e Champions League, partite dei mondiali, vittore di scudetti a dozzine), memorabilia dei calciatori che hanno calcato il suo prato e dei cantanti che in estate ne hanno animato il prato (da Bob Marley a Taylor Swift). Momento saliente della visita è il tour nel ventre di San Siro. Una passeggiata tra gli spogliatoi, la zona mista delle interviste, il tunnel di ingresso, lo spazio antistante alle panchine e i gradoni della tribuna rossa. Un giro che si conclude con un momento di emozione, in cui si guarda dal basso quel muro di seggiolini che chiude l’orizzonte dietro le porte.
Dal moderno Juventus Stadium di Torino al più antico stadio d’Italia, a Genova.
A Torino, il primo grande stadio, lo Stadium, venne costruito dove c’era la piazza d’Armi nel quartiere Crocetta, per l’Esposizione Internazionale del 1911, organizzata per i 50 anni dell’Unità d’Italia. Era una struttura immensa, ricordava le arene di epoca romana ed era capace di ospitare 80.000 persone. All’epoca era l’impianto più grande del mondo e forse per questo non ebbe fortuna. Diventato ben presto un Colosseo vuoto, venne abbattuto nel 1951. A ricordo rimane solo l’insegna, originale, del Gran Caffè Stadium sotto i portici di corso Emanuele, al suo posto la facoltà di ingegneria del Politecnico.
In quegli stessi anni nasceva un altro stadio destinato a entrare nel mito, il Filadelfia. Famoso perché è stato la casa del Grande Torino, la squadra più forte degli Anni ’40 che scomparì nella tragedia di Superga. Nel 2017 è stato ricostruito diventando il centro sportivo del Torino, formazione che da allora ha giocato quasi sempre nello stadio che tutti conoscono come Comunale: l’impianto di architettura razionalista nato nel 1933 che oggi si chiama Stadio Grande Torino dove gioca ancora la formazione granata. L’altra squadra cittadina, la Juventus, si è costruita il suo impianto, lo Juventus Stadium (o Allianz Stadium, poco importa), nato sulle ceneri dello Stadio delle Alpi, inaugurato in occasione dei mondiali Italia ’90, condiviso dalle due formazioni e demolito tra il 2008 e il 2009. A pochi passi si trova anche lo Juventus Museum, che racconta la storia del Club più titolato d’Italia. C’è voluto più di un secolo, ma forse oggi Torino ha fatto pace con i suoi stadi.
Non ha mai avuto problemi con il suo stadio Genova: il Luigi Ferraris o stadio Marassi è infatti il più antico impianto d’Italia in esercizio, inaugurato nel gennaio del 1911. L’esterno assomiglia più a un palazzo che a uno stadio, dipinto di quel rosso mattone che ricorda i colori dei palazzi della città. Oggi si parla di ristrutturare la casa del Genoa e della Sampdoria, per renderla più fruibile, ma Genova non ci pensa a costruirne un altro altrove. Anche perché tra il mare e le montagne, forse non ci sarebbe spazio.
L’epoca degli architetti: dal Dall’Ara di Bologna allo stadio di Firenze disegnato da Pier Luigi Nervi
A Bologna, il 31 ottobre 1926 viene inaugurato il Littoriale, primo stadio in Italia costruito su iniziativa pubblica. Vasto e fastoso, con l’alta torre di Maratona (42 metri di altezza) ispirato allo stile della Roma imperiale, ricoperto del tipico mattone rosso bolognese, all’epoca adornato da decine di statue. Oggi è uno dei pochi impianti italiani, assieme al Marassi di Genova, che ben si integra nel tessuto architettonico e sociale.
Ancorché meno centrale, si trova nel quartiere Campo di Marte non distante dalla stazione ferroviaria, e non stretto tra le abitazioni, lo stadio Artemio Franchi di Firenze è un altro gioiello architettonico italiano, figlio del Razionalismo che andava per la maggiore negli Anni ‘30. Disegnato dall’ingegnere valtellinese Pier Luigi Nervi, è forse il più ardito e riuscito tra gli impianti italiani. Nervi disegnò uno stadio a forma di D, dove la funzione ricreativa, l’innovazione tecnologica e l’estetica si fondono in un unico edificio di cemento armato. Oggi il Franchi è un monumento nazionale tutelato dalle Belle Arti, per via di quelle scalinate ripide, delle 3 scale elicoidali di accesso alle tribune, le pensiline prive di sostegni intermedi e della torre Maratona, alta 75 metri fino alla cima del pennone. Lo stadio si trova nell’ex piazza d’Armi, dove sorgono anche il Nelson Mandela Forum (Palazzetto dello Sport di Firenze), lo Stadio Luigi Ridolfi (impianto di atletica) e la Piscina comunale Costoli. A poca distanza da questa cittadella sportiva, in direzione Sud, si trova Coverciano, quartiere sulla riva destra dell’Arno, da anni sede del Centro tecnico della FIGC, la Federazione Italiana Giuoco Calcio, che ospita anche il Museo del Calcio.
Celebrare il passato, all’Olimpico di Roma
Se è vero come dicono che l’ottavo re di Roma risponde al nome di Francesco Totti, è altrettanto vero che il moderno Colosseo è lo Stadio Olimpico, dove a domeniche alterne si sfidano gli unici leoni rimasti in città: quelli con la maglietta giallorossa e quelli con l’aquila biancazzurra cucita sul petto. L’altro stadio più importante della Capitale è il Flaminio ma non versa affatto in buone condizioni.
L’Olimpico si trova a pochi passi dal Tevere, all’altezza del ponte Duca d’Aosta tra le pendici della collina di Monte Mario e il fiume. In questa zona oggi centrale sorge il complesso del Foro Italico, progettato nel 1926 dall’architetto Enrico del Debbio su un terreno bonificato per l’occasione che fino ad allora era stato un pantano. Il complesso comprende, oltre allo stadio Olimpico, il palazzo H sede del Comitato Olimpico italiano e l’Auditorium della Rai, lo stadio centrale del tennis, il complesso natatorio con il palazzo delle Terme e le grandi piscine all’aperto per nuoto, pallanuoto e tuffi e, infine, lo stadio dei Marmi.
Al momento dell’inaugurazione, nel 1932, l’Olimpico venne battezzato stadio dei Cipressi per poi cambiare nome negli Anni ‘50 (stadio dei Centomila) e abbracciare la denominazione attuale in occasione dei Giochi Olimpici di Roma 1960. Nato più per ospitare parate che eventi sportivi, progettato per ospitare 100.000 spettatori, ha subito diversi rimaneggiamenti fin dagli Anni ‘30, venendo inaugurato almeno tre volte in meno di un secolo nelle sue diverse “varianti”. Quella visibile oggi, permette di ospitare 70.000 spettatori seduti. Uno stadio che almeno due volte l’anno, in occasione dei derby, diventa il vero epicentro della città, che per 90 minuti è ancor più eterna.
Napoli è una città eccessiva in tutto, anche nelle passioni. Quella per il calcio ha un nome che i napoletani amanti del pallone, ma anche quelli che non se ne interessano, glorificheranno in eterno: Diego Armando Maradona, il pibe de oro, il calciatore che più di tutti ha fatto parlare di sé. A lui nel cuore dei Quartieri Spagnoli è dedicato un grande murale dalla storia relativamente antica: nel 1990 in occasione della finale di Coppa Italia gli abitanti del quartiere lo commissionarono a un cameriere della zona con la passione per la pittura, Mario Filardi. Così all’altezza del numero 60 di via Emanuele de Deo, su uno dei caseggiati screpolati di quello che all’epoca era Largo degli Artisti, Filardi dipinse un muscoloso Maradona che corre in maglietta azzurra, con un grande tricolore sul petto per celebrare il secondo scudetto vinto grazie alla forza di Maradona e compagni. Oggi è meta di un passionale pellegrinaggio laico.
Ma la tappa più importante per i fedeli del culto maradoniano è lo stadio San Paolo, che una decina di giorni dopo la morte del calciatore argentino è stato ribattezzato stadio Maradona, nel quartiere Fuorigrotta. Costruito alla fine degli Anni ‘50 in stile Brutalista su disegno dell’architetto Carlo Cocchia, per decenni è stato l’impianto più capiente d’Italia con oltre 90.000 posti in piedi. L’atmosfera al suo interno è sempre stata una delle più intense, sia quando giocava Maradona che anche oggi, quando i posti sono stati ridotti a 55.000, tutti a sedere.
È invece dedicato a un santo vero, il San Nicola, lo stadio di Bari, disegnato da Renzo Piano in occasione del mondiale Italia ’90, l’ultimo momento nel nostro Paese in cui si è messo mano al patrimonio di impianti sportivi dedicati al calcio. Il San Nicola assomiglia a una grande astronave atterrata alla periferia del capoluogo pugliese. All’epoca era considerato lo stadio più bello d’Europa: un impianto enorme, capace di ospitare 56.000 spettatori su due anelli, di cui il secondo diviso in 26 spicchi. Oggi rappresenta una cattedrale nel deserto, ma forse è affascinante proprio per questo suo trovarsi in una zona periferica, rialzato su una collinetta di terra, con il campo da gioco scavato 2 metri sotto il livello del terreno. Il posto ideale dove far atterrare una astronave.