Laino Castello
Se arrivate in Calabria da nord, lungo la celebre Salerno-Reggio Calabria, recentemente ribattezzata Autostrada del Mediterraneo, vi troverete davanti al vostro primo borgo fantasma dopo nemmeno 20 km.
Il comune è quello di Laino, provincia di Cosenza, arroccato sulle ripide alture ai margini del Parco nazionale del Pollino, che segna il confine tra Basilicata e Calabria. Millenarie abitazioni rupestri e fitte foreste circondano Laino, specialmente attorno alla frazione Castello, l’antico centro medievale oggi completamente disabitato.
A 270 metri di altitudine, bagnata dalle acque del fiume Lao, Laino Castello venne gradualmente abbandonata nel corso del Dopoguerra. Già negli Anni ’50 un paio di frane convinsero un primo gruppo di cittadini ad allontanarsi dal borgo arroccato: troppo rischioso restare tra quei muri decrepiti sull’orlo del precipizio.
Tre decenni più tardi, negli anni ’80, si trovarono i finanziamenti per costruire un nuovo quartiere più a valle, Laino Borgo, moderno e sicuro, così che anche gli ultimi irriducibili si videro costretti a lasciare il centro storico di Castello.
I vicoli e le palazzine, le scalinate e gli antichi portali in pietra restano lì a memoria di un lungo passato che solo quarant’anni fa è rimasto (forse per sempre) senza vita.
Scendendo i ripidi tornanti che si avvicinano da Laino verso il mar Tirreno incontrerete poi un altro piccolo borgo fantasma, noto con il nome di Avena, un tempo frazione del comune di Papasidero.
A differenza di quanto successo a Laino Castello, la tragedia di Avena si è consumata un giorno preciso della storia, il 21 marzo 1982. Un grave terremoto partito dal golfo di Policastro risalì le colline calabresi fino a colpire Papasidero e altri comuni del circondario. Da allora la frazione di Avena si è spopolata rapidamente, anche se è ancora possibile entrare nella chiesa cinquecentesca del paese o avvicinarsi ai resti del castello medievale. Papasidero merita una deviazione anche per un altro sito, in località Nuppolara: la grotta del Romito dove si conservano testimonianze archeologiche e dipinti murali di epoca paleolitica.
Cirella Vecchia
La Calabria sorprende fin dai primi istanti per la varietà del suo paesaggio, selvaggio e incontaminato, e la ricchezza delle sue tradizioni. Restiamo in provincia di Cosenza ma ci avviciniamo questa volta al mare, più precisamente alle spiagge di Diamante, perla della costa tirrenica calabrese.
L’unica frazione del comune di Diamante si chiama Cirella: è posta poco a nord del centro storico, di fronte all’omonima isoletta, paradiso per le immersioni subacquee. A Cirella si svela poi un piccolo e antico quartiere fantasma, arroccato su un promontorio e abbandonato oltre due secoli fa.
Fino all’inizio dell’800 quella che oggi si chiama Cirella Vecchia era uno dei villaggi più ricchi e prestigiosi dell’area. Colonia greca e romana prima, con il nome di Cerillae, città bizantina e normanna poi, in epoca medievale. Saccheggi e terremoti colpirono ripetutamente il paese fino a quando nel 1806 l’esercito napoleonico occupò quest’avamposto sul mare. Due anni più tardi, nel 1808, le navi inglesi bombardarono quello che ancora restava in piedi del borgo, nel tentativo (efficace) di allontanare le truppe francesi.
I pochi superstiti si spostarono verso altri lidi e da allora l’un tempo fiorente Cirella Vecchia vive solo nella fantasia di chi, come voi, visita questi ruderi provando a ricostruire con gli occhi il loro passato.
Acerenthia
Un bel pezzo di strada separa Diamante da Cerenzia, piccolo comune di montagna nell’entroterra crotonese. Il navigatore segna circa 2 ore di guida, che potrebbero però tranquillamente trasformarsi in diversi giorni di esplorazione: l’itinerario borda verso sud buona parte della costa tirrenica prima di attraversare le meraviglie naturalistiche del Parco nazionale della Sila.
Arrivati a destinazione sarà il momento di fare la conoscenza di un nuovo borgo fantasma, quello di Acerenthia, nucleo originario dell’odierna Cerenzia, che si è invece spostata più a valle nel corso del tempo.
Il toponimo viene dal fiume Acheronte, oggi conosciuto come Lese, che scorre a pochi metri di distanza. Scendendo dai picchi della Sila, il Lese supera i suggestivi uliveti dell’olio Evo Alto Crotonese Dop, e diventa poi affluente del fiume Neto, che sfocia a sua volta nel mar Ionio vicino a Crotone.
L’antica Acerenthia, fondata in epoca medievale, fu a lungo una prestigiosa sede vescovile, prima che il terribile terremoto del 1783 ne distruggesse chiese e palazzi. Gli abitanti sopravvissuti provarono a ricostruire l’abitato, ma la mancanza di pozzi d’acqua agibili costrinse i pochi e temerari superstiti ad allontanarsi dal borgo una volta per tutte.
Tra i vicoli di Acerenthia cresce rigogliosa la vegetazione spontanea, che si è ormai impossessata dei principali monumenti, come il palazzo vescovile e la chiesa cittadina, intitolata a S. Leone e S. Teodoro di Amasea.
Papaglionti
Dalla provincia di Crotone a quella di Vibo Valentia, dalla sponda ionica di ritorno a quella tirrenica, in direzione di Papaglionti, circa 180 km a sud di Acerenthia.
Lo spopolamento del nucleo storico di questo borgo risale al primissimo Dopoguerra. Nel 1952 una grave alluvione colpì irrimediabilmente queste alture, obbligando gli abitanti di allora ad allontanarsi per sempre dalle loro case. Ve ne accorgerete passeggiando tra le macerie: gli appartamenti, la chiesa, le palazzine furono abbandonate dal giorno alla notte.
La Papaglionti “vecchia”, quella dei ruderi sommersi di erbacce, dista oggi pochi metri dalle case nuove, costruite in fretta e furia negli Anni ’50. La vita va avanti ma resta vivo il ricordo di una storia bruscamente interrotta e mai veramente ricominciata.
Camminando qualche passo dall’antica chiesa di Papaglionti verso est potrete visitare la grotta Trisulina, scavata interamente nel colle di tufo che sorregge il borgo fantasma. Circondata in un paesaggio di ulivi secolari che si allunga verso l’orizzonte, questa grande stanza sotterranea è motivo di discussione tra gli archeologi da lungo tempo. È possibile infatti che le arcate che sorreggono il soffitto siano i resti di un ninfeo romano, e cioè un luogo di vasche e piccole piscine votato al benessere e al culto delle divinità acquatiche.
Parco nazionale dell’Aspromonte
L’estrema punta dello Stivale italiano è occupata dalla provincia di Reggio Calabria, ultima tappa di questo viaggio tra i borghi fantasma della regione. Qui il mar Tirreno e lo Ionio si incontrano ai piedi delle massicce montagne del Parco nazionale dell’Aspromonte, che incombe su ogni lato della rotondeggiante costa reggina. Boschi di castagni e tassi, affiancati dai faggi e dai lecci, si dispongono a raggiera attorno al picco del Montalto, che tocca i 1955 metri sul livello del mare.
Tra le rocce dell’Aspromonte che si sfilano verso il cielo del Mediterraneo spuntano qua e là diversi piccoli borghi di origini spesso antichissime. Alcuni di questi sono ancora vivi, popolati da pastori e contadini che mantengono vive le tradizioni di un tempo, altri invece hanno sofferto emigrazione e pesanti catastrofi naturali che li hanno lasciati vuoti, disabitati.
Prima ancora di addentrarvi nell’entroterra reggino, a pochi metri dal mare di Melito di Porto Salvo, potrete passare da Pentedattilo, il primo di tre borghi fantasma che chiudono questo speciale itinerario calabrese. La parte più alta del paese, che ospita i resti del castello cittadino, fu colpita da frane e terremoti che oggi fanno sembrare le rocce e i ruderi un unico complesso architettonico, perfettamente in sintonia con il paesaggio circostante.
Ben più inserito nell’aspra natura della montagna calabrese è poi Roghudi Vecchio, a 527 metri di altitudine, affacciato sul letto dell’Amendolea, una breve fiumara ricoperta di ciottoli bianchissimi. Non una ma ben due gravissime alluvioni (nel 1971 e nel 1973) sono all’origine di un inarrestabile spopolamento. Oggi arrivare a Roghudi Vecchio è una piccola impresa di guida “sportiva”, da intraprendere seguendo i tanti tornanti che si arrampicano fino a questo spaventoso precipizio nel cuore dell’Aspromonte.
Gli spettrali vicoli del paese meritano senza dubbio questo piccolo “viaggio nel viaggio”, anche perché, lasciandovi alle spalle Roghudi Vecchio, vi aspettano altre rovine, quelle di Africo Vecchio, ultima tappa dell’itinerario. Una nuova e altrettanto triste alluvione (nel 1951), ma anche la sua posizione isolatissima, hanno contribuito a ridurre Africo Vecchio a un gruppetto di ruderi. Visitare le case sventrate e fatiscenti con gli occhi della modernità e del comfort è un viaggio spirituale che vi riporterà a epoche ancestrali alle radici dell’identità calabrese.