Pinacoteca di Brera, Milano
A Milano si trova uno dei musei più prestigiosi d’Italia: la Pinacoteca di Brera, che raccoglie dipinti italiani di epoca medievale e rinascimentale (in particolare di artisti lombardi, veneti ed emiliani), ai quali si aggiungono testimonianze di altre epoche e di scuole straniere, soprattutto fiamminga e olandese. È qui che si trova una delle opere dell’artista urbinate Raffaello Sanzio, che proviene però dalla chiesa di S. Francesco di Città di Castello.
Si tratta dello Sposalizio della Vergine, dipinto a olio su tavola datato 1504, come si evince dalla data apposta dal pittore stesso (appena ventenne) sul portale principale del tempio dipinto sullo sfondo, corredata dal suo autografo. L’opera è un omaggio al pittore Pietro Perugino e, di fatto, riprende l’impianto prospettico del suo quadro omonimo, sito a Caen.
Ma come giunse a Milano la Vergine? L’opera fu rimossa dalla chiesa perugina in epoca napoleonica, alla fine del ‘700, e ceduta al generale Giuseppe Lechi da parte della comunità. Poi la pala fu acquisita dal principe francese Eugenio di Beauharnais, che la reindirizzò alla Pinacoteca di Brera all’inizio dell’800.
A pochi passi da Brera, si trova un’altra collezione artistica che fa al caso vostro, ed è la Pinacoteca Ambrosiana. Anch’essa ha qualcosa che appartiene a Raffaello: il cartone della Scuola di Atene. È il disegno preparatorio dell’affresco finale che si trova nella stanza della Segnatura in Vaticano, ed è una tipologia di opera davvero rara da trovare, anche perché la fragilità del materiale non sempre ne consente la conservazione. Il cartone dell’urbinate, depositato all’Ambrosiana nel 1610 e restaurato recentemente, ha una dimensione di 285 x 804 cm, aggiudicandosi così il titolo di cartone più grande del Rinascimento (di cui abbiamo traccia). Il disegno, eseguito a carboncino con lumeggiature in biacca, è incredibilmente curato nei dettagli, probabilmente per assicurarsi approvazione da parte di Giuliano Della Rovere, committente esigente.
Accademia Carrara di Bergamo
A Bergamo la famosa Accademia Carrara conserva un altro piccolo gioiello di Raffaello, il San Sebastiano. In quest’opera datata 1501-1502 è ancora evidente l’influsso del Perugino (l’espressione dolcemente vacua, il paesaggio, l’aspetto femmineo) ed emerge la maestria di Raffaello nel rappresentare il soggetto mischiando sacro e profano. Non è ancora chiaro dove fosse collocata in origine l’opera, al contrario del precedente Sposalizio della Vergine, ad esempio, eppure sappiamo che il destinatario era un aristocratico che si sarebbe rispecchiato nel santo martire. Dunque un’opera destinata alla devozione privata.
Oltre alle chiare influenze perugine, l’opera rende conto anche dell’emergente maturità di Raffaello, che vediamo nella costruzione a ellissi incrociate delle immagini, nei dettagli curatissimi (come già avete visto nel cartone preparatorio della Scuola di Atene) per esempio i ricami sugli abiti e la catenella intrecciata del santo.
Anche in questo caso l’opera ha fatto alcune deviazioni prima di approdare a Bergamo: inizialmente parte della collezione del marchese Zurla di Crema (importante artista e promotore culturale) presso la dimora familiare, il palazzo Zurla, poi proprietà di Giuseppe Longhi, incisore, e ancora nelle mani del conte Guglielmo Lochis. Fu quest’ultimo a donarla nel 1886 all’Accademia Carrara, dove oggi potete ammirarla.
Pinacoteca Tosio Martinengo a Brescia
Ultima tappa lombarda sulle tracce di Raffaello è Brescia, il palazzo Martinengo da Barco con la sua Pinacoteca Tosio Martinengo, a sua volta tappa fondamentale per la conoscenza della pittura rinascimentale lombarda. Tra i vanti della pinacoteca c’è il corpus di Raffaello, con due opere giovanili: Angelo, (1501); Cristo redentore benedicente (1505- 1506) e la più matura Madonna dei garofani (1520-1530), realizzata forse nell’ambito della bottega dell’Urbinate prendendo a modello il dipinto pressoché identico del maestro, conservato alla National Gallery di Londra.
Il primo è un frammento di un’opera più grande, la Pala Baronci o Pala del beato Nicola da Tolentino, dipinta su commissione della famiglia Baronci, da apporre nella cappella della chiesa di S. Agostino a Città di Castello. Il frammento è ciò che rimase dal danneggiamento a causa del terremoto del 1789, dopo il quale l’opera, che risale a un diciassettenne Raffaello, fu portata dapprima a Roma e in seguito a Napoli e tra i vari mercati di antiquariato.
Il conte Paolo Tosio, riuscì ad accaparrarsi l’Angelo a Firenze, ma ottenne la Pala Baronci solo dopo. Insieme a quest’opera Tosio acquistò anche il Cristo redentore benedicente, tavola di ridotte dimensioni, e una versione della Madonna dei garofani. Del Cristo abbiamo poche informazioni soprattutto riguardo la committenza ma è possibile che vi si debba riconoscere un autoritratto dell’artista, ipotesi che trova conferma nel confronto con altre opere.
Sulla Madonna dei garofani, invece, si è avuto qualche dubbio sull’autografia a Raffaello, anche perché esistono molte versioni diverse dell’opera. Ad esempio quella conservata alla National Gallery di Londra, la versione che a detta di molti critici è l’originale raffaellesca.
Sia il Cristo sia la Madonna hanno chiari rimandi a Leonardo: nel primo la mano benedicente ricorda il S. Giovanni Battista del Louvre e la tecnica dello sfumato riprendere quella vinciana. Nella seconda vi è somiglianza con la Madonna Benois: Madonna e bambino hanno la stessa posa, anche se nel dipinto del fiorentino il gesto che si scambiano madre e figlio è più accentuato.