Chiesa della Madonna dell’Orto
Una passeggiata nella Venezia di Tintoretto non può che cominciare dalla trecentesca chiesa della Madonna dell’Orto, che con una magnifica facciata in cotto caratterizza il campo omonimo nel sestiere di Cannaregio. Questo luogo di culto è legato alla memoria del pittore per varie ragioni. Sorge a poca distanza dalla sua casa-bottega, che si trovava al n. 3399 delle fondamenta dei Mori: Tintoretto vi abitò fino alla morte, ma secondo alcune fonti si tratterebbe addirittura della sua casa natale. La Madonna dell’Orto fu dunque la sua parrocchia di riferimento e non a caso proprio qui, anziché in basiliche più illustri, Tintoretto volle essere sepolto. La sua tomba (insieme a quelle dei figli Marietta e Domenico) è contrassegnata da una semplice lapide a sinistra dell’abside. Il legame affettivo con questa chiesa è testimoniato da diverse splendide opere, a cominciare da quelle che decorano il presbiterio: negli spicchi dell’abside compaiono le Virtù dipinte quasi a monocromo, mentre sulle pareti laterali due monumentali tele (1563 circa) alte ben 14 metri raffigurano l’Adorazione del vitello d’oro e il Giudizio Universale, in cui risaltano la sensibilità scenografica e il grande dinamismo espressivo di Tintoretto, con richiami manieristici a Michelangelo. Nella navata destra, proprio al di sopra della tomba dell’artista, si trova poi una raffinatissima Presentazione di Maria al Tempio (circa 1552), in cui la Vergine, che forse ha le fattezze dell’amata figlia Marietta, sale una scalinata dorata dall’ardita prospettiva. Nella cappella Contarini, infine, si può ammirare l’ultima opera dipinta da Tintoretto per questa chiesa: Il miracolo di S. Agnese (1575), detto anche “dei Celestini” per gli angeli vestiti di azzurro vivace. Una volta lasciata la chiesa, sulla strada verso il Palazzo Ducale vale la pena fare una sosta nelle due chiese di S. Marcuola e S. Cassiano, che conservano altre opere di Tintoretto.
Palazzo ducale
Il Palazzo Ducale di Venezia conserva innumerevoli opere d’arte, ma una spicca su tutte: si tratta del Paradiso di Tintoretto (1588-92) situato sulla parete di fondo della sala del Maggior Consiglio. Lì un tempo si ammirava un affresco medievale di Guariento, distrutto da un incendio nel 1577. Quando la Serenissima indisse un concorso per la nuova decorazione vinse il grande rivale di Tintoretto, ossia Paolo Veronese, che tuttavia morì prima di iniziare i lavori. Subentrò allora il nostro pittore. Il risultato finale non fece rimpiangere il rimpiazzo: il dipinto, che misura oltre 7 metri per 24, per il critico romantico John Ruskin era “il più bello della storia dell’arte”. Fu realizzato dall’artista in età già avanzata e per questo, viste le enormi dimensioni, richiese la collaborazione del figlio Domenico, pittore a sua volta. Le oltre 500 figure rappresentate si affollano sulla tela (o meglio, su più tele cucite insieme) creando un’impressione di drammatico caos dominata dalla luce che avvolge i due protagonisti, Gesù e Maria. La luce dello Spirito Santo scende verso il trono del doge, situato sotto il dipinto, indicando il favore concesso da Dio al governo della Serenissima. In quest’opera il pathos di Tintoretto raggiunge l’apice, con i caratteristici chiaroscuri e una tavolozza cupa, che poco si addice a una visione stereotipata di Paradiso. Tra i personaggi riconoscibili troviamo gli Evangelisti, gli Apostoli, Abramo e Isacco, Mosè e re Davide, ma anche innumerevoli martiri riconoscibili dai rami di palma, profeti e dottori della Chiesa. Una volta ammirati anche gli altri dipinti di Tintoretto conservati nel Palazzo Ducale, prima di dirigervi alla Scuola Grande di S. Rocco, prendete un momento per entrare anche nella Biblioteca nazionale Marciana e nella chiesa di S. Stefano, dove sono conservati altri capolavori dell’artista.
Scuola Grande di S. Rocco
Se c’è un luogo a Venezia che più di ogni altro rappresenta l’arte di Tintoretto, quel luogo è la Scuola Grande di S. Rocco. Era la sede di una delle più ricche e potenti associazioni veneziane, dedicata all’assistenza di poveri e ammalati, e divenne un vero e proprio scrigno di capolavori soprattutto grazie al sodalizio stabilito nel ’500 tra i confratelli e il nostro pittore. Tutto iniziò nel 1564 con un concorso per la decorazione del soffitto della sala dell’Albergo. Tintoretto sbaragliò la concorrenza non limitandosi a presentare un bozzetto alla commissione, bensì facendo trovare ai confratelli una tela completa già sistemata nell’ovale centrale del soffitto: raffigura S. Rocco in Gloria. Non fu un’operazione limpidissima, ma nonostante le polemiche l’artista si aggiudicò l’incarico e continuò a lavorare nella Scuola. Per la stessa sala realizzò i teleri con le storie della Passione e (in un solo anno!) una straordinaria Crocifissione, un’opera monumentale intrisa di grandiosità drammatica e fortissimi giochi di luce, il cui “cielo giallo” fu ammirato anche da Sartre. La collaborazione con la Scuola Grande non si concluse qui, anzi: tra il 1575 e il 1581 Tintoretto realizzò ben 33 dipinti per la sua Sala Capitolare con le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento. L’ultima a essere decorata fu la Sala Terrena, in cui dal 1582 l’artista dipinse otto teleri con l’Infanzia di Gesù e la Vita della Vergine. Altre opere di Tintoretto si possono ammirare nell’adiacente chiesa di S. Rocco, sempre di pertinenza della Scuola Grande. I teleri con le storie di S. Rocco nel presbiterio presentano arditi chiaroscuri notturni e la prima rappresentazione della peste nell’arte veneta, mentre nella navata si trovano un concitato Cristo che guarisce il paralitico e le portelle dell’antico organo, con un’Annunciazione” e un S. Rocco presentato al papa.
Gallerie dell’Accademia
Un itinerario completo sulle orme di Tintoretto a Venezia non può prescindere da una visita alle Gallerie dell’Accademia, il museo che vanta la più grande collezione di arte veneta al mondo. Sebbene nelle sue tre sedi storiche la galleria conservi innumerevoli capolavori, concentratevi per ora solo su Tintoretto. Partite con S. Marco libera lo schiavo: è il telero del 1548 che segnò la prima affermazione pubblica del pittore sulla scena veneziana. Realizzato per la Scuola Grande di S. Marco, rappresenta un miracolo compiuto dal patrono veneziano con uno stile innovativo e teatrale, dimostrando una maturità sorprendente per il giovane artista. Poi c’è la straordinaria Messa in salvo del corpo di S. Marco (o Trafugamento, a seconda dei punti di vista), opera del 1562-66 destinata alla stessa Scuola di S. Marco e costruita con un coraggiosissimo scorcio prospettico sotto un cielo rosso di tempesta. Il suo pendant, S. Marco salva un saraceno dal naufragio, raffigura un drammatico mare in tempesta con forti contrasti di luce (il terzo dipinto della serie, Il ritrovamento del corpo di S. Marco, oggi è esposto a Milano nella Pinacoteca di Brera). La bella Deposizione del 1550-60 ha un impianto imponente e ben calibrato, con pochi personaggi e un nudo michelangiolesco, mentre la Presentazione di Gesù al Tempio del 1554-55 manifesta un maggiore dinamismo. La collezione di capolavori di Tintoretto è ancora più ampia, ma alcune opere come il penetrante ritratto di Jacopo Soranzo, Adamo ed Eva o Caino e Abele non sono al momento esposte al pubblico. Non c’è tempo per rammaricarsene: poco distante dalle Gallerie dell’Accademia, altre opere fondamentali di Tintoretto risplendono nella splendida basilica di S. Maria della Salute.
Basilica di S. Giorgio Maggiore
Per concludere questo breve itinerario veneziano alla scoperta di Tintoretto bisogna salire a bordo di un vaporetto e navigare per pochi minuti fino all’isola di S. Giorgio Maggiore. Su questo minuscolo fazzoletto di terra sorge la basilica omonima, dal progetto palladiano, che conserva quelle che probabilmente sono le ultime opere dell’artista, collocabili tra il 1592 e il 1594, l’anno della morte. Sulle pareti laterali del presbiterio si trovano le due grandi tele con Gli ebrei nel deserto rifiutano la manna e soprattutto L’ultima cena, la più celebre versione dell’episodio evangelico mai realizzata dall’artista. Come aveva fatto in precedenza per altri soggetti, anche qui Tintoretto sceglie di rompere con la tradizione raffigurando la tavola non frontalmente, bensì decentrata e in obliquo, in modo da dare maggiore profondità alla scena. La cena è ambientata in un contesto umile e quotidiano, una taverna buia illuminata solo da una lampada e dalla luce propria del Cristo, popolata di personaggi umili e servitori, c’è perfino un gatto. L’impressione di ordinarietà, tuttavia, è contraddetta dalla metà superiore del dipinto, dove la luce divina è popolata di trasparenti figure angeliche, mentre il dettaglio di quella che sembra una torta di compleanno sulla tavola è probabilmente destinato a non trovare una spiegazione. Sempre nella basilica, nella cosiddetta cappella dei Morti, possiamo raccoglierci in meditazione di fronte all’intensa Deposizione di Cristo. L’opera fu conclusa giusto pochi mesi prima della dipartita dell’artista, che si autoritrae nei panni dell’anziano Giuseppe di Arimatea. In quest’opera dalla luce cupa e livida le figure si accalcano nell’atto di calare il defunto nel sepolcro. Sullo sfondo, il corpo svenuto della Madonna si contrappone a quello senza vita del Cristo in una doppia diagonale che accresce il senso della tragedia.