Castello di Eurialo
A circa 8 chilometri dal centro di Siracusa, sul punto più alto dell'altopiano di Epipoli, nella frazione di Belvedere, si trova il Castello Eurialo, in uno dei punti paesaggistici più spettacolari e, allo stesso tempo, che permettono di contestualizzare la storia della città in una visione d’insieme. Infatti, da qui è possibile apprezzare Siracusa nella sua estensione greca e, allo stesso tempo, contemplare uno dei panorami più belli della Sicilia. La roccaforte fu costruita all'inizio del IV secolo a.C. da Dionisio I, il Vecchio, e svolse efficacemente il suo compito difensivo fino alla caduta di Siracusa sotto il dominio dei Romani. Degno di rilievo è il sistema di difesa dei fossati, che avevano il compito di rallentare gli assalti nemici e di offrire diverse vie di fuga ai soldati.
La posizione strategica e la struttura architettonica, secondo canoni innovativi per l'epoca di costruzione, ne fanno un gioiello di ingegneria militare. Per potersi orientare nella vasta articolazione dei ruderi, che si estendono per un ettaro e mezzo, è necessaria una mappa. Vale certo la pena approfondire la storia del Castello Eurialo. Originariamente costituito da un unico blocco a forma di prua di nave, appare oggi diviso in due parti: una rettangolare, a ovest, e una trapezoidale, a est. Le due parti sono separate da un muro costruito dai bizantini per utilizzare solo la metà quadrangolare della fortezza.
La facciata a ovest presenta vari elementi difensivi: un fortino avanzato, un tempo collegato al Castello da un poderoso ponte levatoio di 15 metri, di cui sono appena visibili i piloni; cinque torri, su cui si trovavano le piattaforme per le catapulte. La metà a est del Castello, dalla forma trapezoidale, dove un tempo si trovavano le tre cisterne che servivano per il rifornimento idrico della città, è collegata alle mura di Dionisio; qui la fortezza si apre alla città.
Il Teatro Greco
Massima espressione dell’architettura teatrale e della tecnica scenica del periodo greco giunta fino a noi, deriva dall’ampliamento che Ierone II fece eseguire, nel III secolo a.C., di un precedente teatro risalente al V secolo. Oltre che per gli spettacoli, veniva utilizzato per le assemblee del popolo. Scavato nella roccia del colle Temenite, il teatro è orientato verso il mare e offriva un meraviglioso panorama agli spettatori seduti nella parte sopraelevata delle gradinate (della quale, non essendo scolpita ma edificata in blocchi, non rimane più traccia). La cavea, in origine costituita da 67 ordini di gradini divisi da scalette di servizio in otto “spicchi” (ne rimangono 46), è tagliata orizzontalmente a metà altezza da un largo passaggio aperto, che ha incisi sulla parete settentrionale i nomi di alcune divinità e di alte personalità alle quali venivano intitolati i vari settori.
Le zone della platea (orchestra) e della scena, come si presentano oggi, sono il frutto delle trasformazioni apportate in epoca romana per adattare il teatro ad altro genere di spettacoli. L’abbandono della struttura iniziò con le invasioni dei vandali e dei goti, nel 440, e culminò con la sua parziale distruzione nel 1526, quando Carlo V dispose che i marmi di copertura fossero asportati e destinati alla costruzione delle fortificazioni di Ortigia. La cavea del teatro è dominata da una terrazza rettangolare intagliata nella roccia, dalla quale sporgevano due lunghi portici che offrivano riparo in caso di pioggia.
Al centro della parete c’è una grande grotta artificiale con prospetto architettonico, al cui centro fuoriusciva un acquedotto che alimentava una fontana. Si pensa che la grotta, nella quale sono state ritrovate alcune statue raffiguranti le Muse, oggi esposte al Museo archeologico regionale “Paolo Orsi”, fosse un Mouseion, sede della Corporazione degli attori. La parete rocciosa della terrazza è coperta di piccole nicchie rettangolari adibite al culto degli eroi, con tavolette votive (pinakes), e piccole grotte nella roccia custodiscono tombe di età bizantina.
Ogni anno, tra maggio e giugno, il teatro greco di Siracusa torna alla sua funzione originaria, ospitando una prestigiosa rassegna teatrale, curata e organizzata, dal 1914, dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico. Seduti sugli antichi gradini di pietra, gli spettatori restano incantati dal fascino senza tempo e dalla bellezza del luogo e vivono l’emozione di essere trasportati indietro nei secoli, guidati dalle parole che risuonano tra le pietre antiche e coinvolti nelle ambientazioni d’epoca nelle tragedie e nelle commedie di Eschilo, Sofocle, Euripide, Senecae Aristotele, rivisitati da registi e attori di chiara fama e d’eccellenza.
Latomie e orecchio di Dioniso
Sono le antichissime cave di pietra da cui fin dall’età greca si estraevano i blocchi di calcare bianco-grigio utilizzati per costruire gli edifici e le mura che hanno dato alla città il suo inconfondibile luminoso colore. Le cave, che un tempo erano antri oscuri, si sono aperte a seguito dei diversi crolli provocati dai terremoti; il sole e l’umidità le hanno rivestite di una lussureggiante vegetazione. Le bianche pareti calcaree, corrose in forme bizzarre, sono così animate da giardini di agrumi, immensi ficus, magnolie e delicati capelvenere.
All’interno dell’area archeologica, visitate la suggestiva latomia del Paradiso, un gruppo di cave noto soprattutto per la presenza del cosiddetto Orecchio di Dioniso, per la forma caratteristica simile all’interno dell’organo acustico umano. La vicina grotta dei Cordari è una vasta cavità artificiale sorretta da pilastri scavati nella roccia.
Alla grotta del Salnitro, che ha l’imboccatura coperta da un gigantesco masso, e alla latomia dell’Intagliatella, dalle alte pareti di roccia, segue la più piccola latomia di S. Venera, trasformata in un rigoglioso giardino, che si sviluppa intorno a un maestoso Ficus delle pagode. Le pareti sono intagliate in nicchie legate al culto degli eroi.
Museo archeologico regionale “Paolo Orsi”
All’interno di villa Landolina, un grande spazio verde ricco di preesistenze storiche (una piccola latomia accoglie tre ipogei pagani e il Cimitero dei protestanti), una struttura realizzata nel 1967-86 su progetto di Franco Minissi ospita il Museo, che si estende per 9000 metri quadrati e custodisce più di 18000 pezzi esposti. Al centro dell’edificio, in un grande ambiente circolare è illustrata la storia delle collezioni e la loro collocazione. Ha inizio da qui il viaggio alla scoperta delle civiltà che si sono susseguite nel territorio siracusano, dalla preistoria fino all’età paleocristiana. Sono tanti, infatti, i settori che potete visitare, tutti o scegliendo quelli che più vi interessano.
Il settore A è dedicato alla preistoria e protostoria, dal Paleolitico ai tempi della colonizzazione greca. Particolarmente interessanti sono i reperti dalla cosiddetta cultura di Castelluccio, un sito nei pressi di Noto, con portelli scolpiti, ceramiche dipinte e oggetti in osso di finissima fattura, e i corredi funerari delle necropoli di Thapsos esplorate dall’archeologo Paolo Orsi, al quale è intitolato il Museo. Il tema della colonizzazione greca è concentrato nel settore B, con particolare riferimento a Megara Hyblaea e Siracusa.
Della prima, soffermatevi sulle ceramiche più antiche e le splendide sculture di età arcaica, tra le quali la statua funeraria del medico Sambrotidas, del VI secolo a.C. e, della stessa epoca, la statua in calcare dipinto di una Dea madre che allatta due gemelli. Non mancano una serie di reperti dai corredi funerari rinvenuti nelle necropoli della città. Il focus su Siracusa è affidato a raccolte statuarie e al materiale, soprattutto ceramico, recuperato dagli scavi nel quartiere dell’Acradina (piazza Vittoria) al santuario di Demetra e Kore, e poi ancora ai corredi funerari e alle terrecotte raccolte dal tempio di Apollo.
Dal tempio di Athena, un frammento di cornice marmorea con grondaie a teste leonine (480 a.C.) e la statua di finissima fattura che rappresenta una Vittoria alata secondo lo schema arcaico del volo. L’area costiera a sud di Siracusa è rappresentata nel settore C, dove sono esposti i reperti rinvenuti a Eloro, avamposto litoraneo della città, e provenienti dalle colonie di Akrai, Kasmenai e Camarina, tra cui un gruppo in terracotta raffigurante un cavaliere.
Altri reperti provengono dall’interno della Sicilia e dalle importanti colonie doriche di Gela e Agrigento. Da Francavilla di Sicilia, in particolare, proviene un vasto deposito di pinakes, quadretti votivi in terracotta da un santuario di Demetra e Kore. Al primo piano, il settore D, dedicato all’età ellenistica e romana, custodisce la splendida Venere Anadiomene (“che emerge dal mare”), copia di età romana di un originale greco, detta anche Venere Landolina, dal nome dell’archeologo che la rinvenne nel 1804, e una bella serie di ritratti di età romana.
Il settore F, dedicato all’età cristiana e bizantina, espone i reperti provenienti dalle catacombe di S. Giovanni, tra cui merita di essere citato il sarcofago di Adelfia (IV secolo d.C.), ritrovato nel 1872, con fregi di tradizione cristiana. Di fronte al sarcofago è esposta l’epigrafe di Euskia: databile al V secolo d.C., il primo documento sul culto di Lucia, patrona di Siracusa. Nei sotterranei del museo è allestito il Medagliere, che espone un patrimonio di straordinario valore testimoniale per la monetazione della Sicilia greca, dall’età arcaica a quella medievale. Una parte di questo nuovo settore è dedicata ai gioielli, databili dalla preistoria all’età moderna.
Latomia dei Cappuccini
Ai piedi del seicentesco Convento dei Cappuccini, la Latomia dei Cappuccini, datata al IV secolo a.C., è la più grande, profonda e antica tra le latomie siracusane, ed è visibile anche dall’alto di via Acradina.
Il particolare clima, caldo ma umido e ombroso, ha trasformato la vasta cava in un lussureggiante giardino in cui si stagliano bizzarre forme di roccia bianca, con caverne, ponti a volta, pareti verticali e alti piloni. Rampe di scale e sinuose passerelle superano i dislivelli prodotti dalla lunga opera di escavazione, dai crolli avvenuti nei secoli e dall’erosione prodotta dagli agenti atmosferici.