Forte S. Salvatore
Baluardo che ha attraversato i secoli, testimoniando la stratificazione di eventi e poteri che hanno segnato la Sicilia, il Forte S. Salvatore si adagia sulla stretta penisola di San Raineri dove fu costruito nel 1540 per volere di Carlo V d’Asburgo come parte di un imponente sistema difensivo esteso all’intera città. La scelta non fu casuale: la lingua di terra a forma di falce che si protende nel mare e che definisce il grande porto naturale di Messina ha da sempre rappresentato una posizione strategica per il controllo delle rotte marittime del Mediterraneo. Elemento architettonico di grande impatto visivo la torre di guardia, che nel corso dei secoli ha avuto un ruolo di difesa fondamentale, era un ottimo punto di avvistamento per le imbarcazioni che entravano nello Stretto di Messina. A sovrastarla è la statua della Madonna della Lettera, collocata sulla sommità della torre nel 1934, in occasione del Giubileo straordinario indetto da Papa Pio XI, e legata a una delle leggende più care ai messinesi. Secondo la tradizione, la Madonna inviò una lettera agli abitanti di Messina nell’anno 42 d.C., dopo che una delegazione della città era andata in Palestina per renderle omaggio. Nella lettera, la Vergine Maria benedisse la città e i suoi abitanti, promettendo protezione eterna: la frase conclusiva della benedizione è riportata proprio alla base della statua: “Vos et ipsam civitatem benedicimus” (“Benediciamo voi e la vostra città”). Il terremoto del 1908 lasciò in piedi il Forte S. Salvatore, che divenne un testimone muto della tragedia che colpì Messina, e fu risparmiato anche dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, rivestendo nuovamente il ruolo di avamposto difensivo. Prima di proseguire la visita della città puntando verso la moderna piazza Cairoli, sarà piacevole camminare tra i bastioni del forte lambiti dalle onde, tra le sue antiche mura che custodiscono la storia di un passato ricco e tormentato, e godere del fascinoso panorama della città, con lo Stretto scintillante sotto i raggi del sole e le coste della Calabria all’orizzonte.
Chiesa di S. Maria degli Alemanni
Passeggiando per le vie moderne di Messina, non ci si aspetterebbe di trovare un gioiello medievale nascosto tra i palazzi contemporanei. È la chiesa di S. Maria degli Alemanni, situata nel cuore della città, uno dei rari esempi di architettura gotica in un contesto, come quello siciliano, fortemente caratterizzato dalle influenze arabo-normanne e romaniche. In parte sopravvissuta alle devastazioni e ai numerosi terremoti e che hanno colpito Messina, incluso quello del 1908 dal quale uscì indenne, fu costruita nel XIII secolo (intorno al 1220-1230) dai Cavalieri Teutonici, un ordine militare e religioso nato durante le Crociate in Terra Santa: il termine “Alemanni” si riferisce appunto alla provenienza tedesca (alemanna) di questi cavalieri, chiamati anche “Teutonici”. Prevalentemente in pietra calcarea locale, un materiale che conferisce all’edificio un aspetto solido e severo, in linea con l’austerità tipica delle costruzioni militari religiose, preserva un interno a tre navate coperte da archi ogivali, sorretti da slanciate colonne con capitelli decorati da motivi vegetali e geometrie semplici, unici ornamenti sopravvissuti. Importanti lavori di restauro effettuati nel corso del XX secolo han restituito ai messinesi un edificio non solo notevole sotto il profilo architettonico, ma anche carico di significato storico, testimonianza della presenza dell’Ordine Teutonico nella città e del ruolo di Messina come crocevia di crociati e pellegrini nel Mediterraneo, quando la Sicilia era un ponte tra Oriente e Occidente.
Chiesa della Ss. Annunziata dei Catalani
Una decina di minuti a piedi separano S. Maria degli Alemanni dalla chiesa della Santissima Annunziata dei Catalani, gioiello architettonico testimonianza delle molteplici dominazioni che hanno segnato questa terra, miracolosamente sopravvissuta, seppur danneggiata, al devastante sisma del 1908 mantenendo intatta la sua foggia. La sua origine risale al periodo arabo-normanno, intorno al XII secolo, quando Messina era crocevia di culture mediterranee, e pare sia stata eretta sul sito di un antico tempio pagano. Inizialmente dedicata alla santissima Annunziata, nel XV secolo si arricchì dell’intestazione “dei Catalani”, in segno di riconoscimento alla comunità catalana giunta a Messina durante il dominio aragonese, alla quale fu consentito l’uso della chiesa come proprio luogo di culto. A carpire l’attenzione sono subito la bella cupola, che poggia su un tamburo d’influenza bizantina, all’incrocio della navata e del transetto, e le decorazioni arabo-normanne sui tre portali della facciata; ma non lascia indifferente neppure la sacralità dell’interno, relativamente sobrio rispetto alla ricchezza decorativa delle pareti esterne, che presenta colonne con capitelli scolpiti con motivi vegetali e geometrici, tipici del Romanico, e una policromia affidata all’alternanza di pietra lavica, calcarea, mattoni e marmo. A colpire infine è anche la sua posizione un po’ più in basso rispetto al livello della strada, sulla quota di pavimento della città antica: dopo il terremoto del 1908 la Ss. Annunziata dei Catalani è rimasta lì, e furono gli edifici circostanti a essere riedificati sui mucchi di macerie lasciati dal sisma
Duomo
Icona di Messina, il Duomo rivendica orgoglioso il suo ruolo di monumento che ha attraversato i secoli, pur portando con sé le cicatrici del tempo e delle calamità, colpito per la prima volta dal devastante terremoto del 1783, poi da quello del 1908 e, come se non bastasse, oltraggiato nel 1943 da un incendio provocato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Noto anche come Cattedrale di S. Maria Assunta si leva sulla animata piazza Duomo, dove fu eretto dai Normanni e consacrato nel 1197 dagli Svevi.
Seppur risultato di numerosi interventi, l’attuale facciata preserva tracce del suo passato, evidenti nelle fasce marmoree policrome a bassorilievo del XV secolo, con scene campestri e di vita quotidiana, nel portale maggiore, datato tra la fine del XIV e la metà del XV secolo e sorvegliato da due fieri leoni stilofori trecenteschi e, sul lato destro, nel raffinato portale rinascimentale realizzato nel XVI secolo da Polidoro da Caravaggio e Domenico Vanello.
Anche l’interno preserva notevoli evidenze della lunga storia del Duomo. Nella navata destra, miracolosamente scampata all’incendio del 1943, con lo sguardo rivolto al Divino, si trova la statua di san Giovanni Battista, opera del XVI secolo attribuita ad Antonello Gagini: è l’unica sopravvissuta dell’originario allestimento detto “Apostolato” di Giovanni Montorsoli, perché le altre statue sono ricostruzioni moderne. Tardo quattrocentesco è il portale che introduce al Tesoro del Duomo, scrigno di preziosi tesori d’arte e storia sacra. Sotto la scenografica struttura dell’altare maggiore, protagonista è la Madonna della Lettera, raffigurata in un pannello dorato del ‘600 mentre consegna la missiva all’ambasceria messinese, assicurando con il suo gesto la protezione della città. Sul finire del XVI secolo, fu Jacopo del Duca, allievo di Michelangelo, a progettare la Cappella del Sacramento, spazio fortunosamente risparmiato dalle calamità, che conserva le formelle raffiguranti la Cena in Emmaus e l’Ultima Cena e un prezioso mosaico trecentesco con la Madonna in trono. Su tutto, accanto al Duomo, veglia il campanile, ricostruito dopo il 1908 e dotato nel 1933 del più grande orologio astronomico al mondo che alle 12 in punto regala uno strepitoso spettacolo: il leone ruggisce, il gallo canta, la Madonna della Lettera riceve da un angelo la missiva che la designa protettrice della città, un altro angelo indica con la punta della freccia i giorni del calendario perpetuo. Ah, segna anche le ore.
Santuario della Madonna di Montalto
La storia Santuario della Madonna di Montalto, adagiato come una corona luminosa sulla sommità di una collina che domina Messina, affonda le radici in un evento miracoloso che, secondo la tradizione, ha scolpito nel cuore della città la presenza di una Madonna protettrice, pronta a vegliare sui suoi abitanti nei momenti più bui e tempestosi. Era il 1295, un'epoca segnata da turbolenze politiche e militari nella Sicilia aragonese. Proprio in quegli anni tumultuosi, quelli dei Vespri Siciliani, mentre Messina si risollevava dalle aspre guerre tra Angioini e Aragonesi, un’apparizione cambiò il destino della città. Era una colomba candida, simbolo di purezza e pace, che inviata dalla Vergine si librò in volo sopra il colle della Caperrina, segnando con precisione il luogo dove sarebbe sorto il santuario dedicato alla Madonna delle Vittorie, colei che avrebbe garantito la pace alla città dilaniata dai conflitti. Fu così che nacque il santuario, inizialmente costruito in forme gotiche, poi costretto a rimodellarsi, di volta in volta, sulle cicatrici lasciate da guerre e terremoti, compreso quello del 1908, che insieme a gran parte della città non risparmiò neppure Montalto. Fu il primo luogo di culto a essere ricostruito dopo il sisma, nel 1930, in stile eclettico romanico-gotico, con la facciata rivolta verso il mare affiancata da due campanili a cuspide, restituendo così alla città quello che per secoli era stato il suo faro spirituale, uno spazio di silenzio e contemplazione dove fedeli e pellegrini, oggi come ieri, salgono per cercare rifugio nei momenti di difficoltà. Lo si raggiunge in una quindicina di minuti a piedi da piazza Duomo, seguendo sulla sinistra le vie Dina e Clarenza. E una volta su, il panorama è fantastico: dai 75 metri sul livello del mare, lo sguardo abbraccia l’intera città, dal porto scintillante fino allo Stretto, con la Calabria che appare quasi come una terra misteriosa appena al di là dell’acqua.
Tempio votivo di Cristo Re
Spettacolare la vista dai 60 metri della collina dove il Tempio votivo di Cristo Re si erge maestoso, un luogo dove il sacro si intreccia con la vastità del panorama sullo Stretto che abbraccia il fulgido mare e la città sottostante. Fu costruito negli Anni ’30 del ‘900 in linee di gusto neobarocche, ispirato al desiderio di creare un luogo di culto monumentale in onore del Cristo Re e dedicato alla memoria dei caduti della prima guerra mondiale. La sua storia, però, affonda le radici in un passato assai più lontano, poiché sorge sulle rovine di un’antica fortezza normanna, il Castello di Matagrifone del XII secolo. Il castello, baluardo strategico per la difesa di Messina, è ricordato per aver ospitato il condottiero Riccardo Cuor di Leone, diretto in Terra Santa durante le Crociate, e per aver rinchiuso nelle sue segrete Carlo II d’Angiò, sconfitto in una battaglia navale dalla flotta siculo-aragonese.
Superstite dell’antica fortezza la torre ottagonale, sulla quale nell’agosto 1935 venne collocata una campana di 130 quintali ottenuta dalla fusione del bronzo dei cannoni sottratti ai nemici nella prima guerra mondiale. Vi si giunge, dopo la visita del Santuario della Madonna di Montalto, procedendo per le vie Dina e Clarenza fino al viale Principe Umberto, una decina minuti di camminata lungo la quale la prima cosa che si scorge è la cupola, una sentinella silenziosa che veglia sulla città e che al crepuscolo, quando il sole scende sul mare, si tinge di rosa e arancio mentre si librano nell’aria i rintocchi quotidiani della campana che ricordano i caduti. Austero e carico di pathos l’interno, ripartito in tempio inferiore e tempio superiore, attraversato dai fasci di luce che filtrano dalle vetrate decorate a mosaico. A mitigarne l’austerità i suggestivi giochi di colore che proiettano sulle ampie navate, sulle colonne sugli archi che incorniciano gli spazi laterali, sul sarcofago in marmo sul quale giace la figura di un soldato, il milite ignoto, sulla statua del Cristo Re che si erge maestosa sull’altare maggiore, e sul Sacrario Militare, sicuramente l’elemento più simbolico e toccante del tempio, dove sono custoditi i resti di oltre 1200 soldati caduti durante la prima e la seconda guerra mondiale, dei quali numerosi mai identificati.
MuMe - Museo Regionale Interdisciplinare di Messina
Dopo la visita della città, quella del MuMe - Museo Regionale Interdisciplinare di Messina è una tappa imprescindibile per comprendere a fondo la storia e l’arte di Messina. Le sue collezioni, frutto di secoli di fermento culturale, sono una testimonianza viva della grandezza artistica che ha segnato la Sicilia e, più in generale, il Mediterraneo. Istituito nel 1806 come Civico Museo Peloritano nell’ex monastero di S. Gregorio, come tutta la città non fu risparmiato dal sisma del 1908, e solo nel 1914 tutto il patrimonio sopravvissuto e recuperato dalle macerie viene riallestito nell’ex filanda Barbera-Mellinghoff dove rimase fino al 2017, quando tutto il complesso museale viene trasferito nel nuovo grande edificio costruito nella vicina spianata di San Salvatore dei Greci, al n. 465 di viale della Libertà. Per raggiungerlo dal Tempio del Cristo Re ci vuole una bella passeggiata di una quarantina di minuti, portandosi su via Garibaldi e poi, superata piazza dell’Unità d’Italia, svoltando in viale della Libertà. Una volta giunti a destinazione c’è davvero tanto da vedere: collezioni che illustrano la civiltà figurativa messinese dal XII al XVIII secolo, dipinti, sculture, raccolte archeologiche, numismatiche, di arti decorative e arredi sacri, oltre a reperti architettonici medievali e rinascimentali, distribuiti su due piani, per 4700 metri quadrati complessivi di superficie. Una delle sezioni più preziose è quella dedicata alle opere di Antonello da Messina e dei pittori ispirati all’arte del Maestro messinese. Tra i suoi capolavori spicca il celebre Polittico di San Gregorio, straordinario esempio della maestria di Antonello nel rappresentare la spiritualità con incredibile realismo. Un’altra gemma inestimabile del museo è la presenza di Caravaggio e delle due grandi tele che dipinse fra il 1608 e il 1609 durante il suo breve soggiorno a Messina, in fuga dalle prigioni maltesi: si tratta della magnifica Resurrezione di Lazzaro un’opera che, con i suoi contrasti tra luce e ombra, esprime la drammatica tensione emotiva tipica dello stile caravaggesco, e dell’Adorazione dei pastori, capostipite delle “natività povere” destinate a grande fortuna nel XVII e XVIII secolo.