Monastero dei Benedettini S. Nicolò l’Arena a Catania
Giunti a Catania, vi troverete in una città viva, affascinante, ricca di angoli nascosti che vi consigliamo di esplorare, fuori dalle vie più battute: uno su tutti “a Pescheria”, la Pescheria. Subito dopo, dirigetevi verso uno dei suoi luoghi simbolo e meta principale della vostra visita nel capoluogo etneo. Il Monastero dei Benedettini di S. Nicolò l’Arena. Da 1997 è sede del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania. Si tratta di un luogo magico ammirato perfino da Goethe. Oggi, il vasto complesso è popolato di studenti e professori e di una fervente atmosfera giovanile e dinamica. Camminate lentamente per i suoi ampi spazi e chiostri e godete di quest’aria leggera e carica di vita, dove passato e presente convivono e regalano un’esperienza intensa. Questo è merito del pregevole lavoro di restauro, durato parecchi anni, seguito dall’architetto Giancarlo De Carlo. Il suo è stato un lavoro tutto basato sui contrasti tra gli elementi contemporanei introdotti e gli spazi esistenti. Potete vederlo, ad esempio, nelle aule didattiche realizzate nelle ex scuderie, nell’auditorium che porta il suo nome, e ancora nel giardino dei Novizi, nella scala elicoidale e nella centrale tecnologica, incastonata in un banco lavico, coperta da un sistema di superfici riflettenti e con sfiatatoi dalle diverse forme. Immergetevi nei cortili, ammirate il neoclassico scalone d’Onore, ispirato agli ingressi di palazzi reali, e percorrete i corridoi che conducono ai due chiostri, senza dimenticare l’anfiteatro, le antiche cucine (oggi sede del Museo della Fabbrica del Monastero) e il refettorio grande. Sarà un viaggio nella storia, nell’arte e nella cultura siciliana. Prendetevi tutto il tempo necessario. Sono spazi capaci di raccontare i mille segreti di Catania e della storia che è transitata qui, come ad esempio quella dei fiumi sotterranei di lava, visibili nei pozzi nascosti delle cucine benedettine. Magnificenti, anche, gli ambienti cinquecenteschi, pesantemente lesionati dal terremoto del 1693, trasformati poi in biblioteca contemporanea, così come accoglienti e armoniosi sono i giardini botanici, segno della vita dei monaci.
Per gli appassionati di archeologia, non mancano i segni della vita romana, delle “domus” patrizie e delle strade lastricate. Il monastero è insomma un mondo nel mondo.
Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa
Lasciata Catania, in auto, procedete verso sud: la vostra prossima tappa è un’altra città dalle mille meraviglie, Siracusa. Quella che scoprirete non sarà la Siracusa barocca, antica e più celebre tra i turisti, bensì un luogo capace di sorprendervi con un’architettura ardita e moderna. Stiamo parlando del Santuario della Madonna delle Lacrime, opera di due maestri dell’architettura contemporanea: i francesi Pierre Parat e Michel Andrault. L’opera fu iniziata nel 1966 ma ultimata solo nel 1994, proprio per continue interruzioni dovute alle critiche provenienti da più parti: liturgisti, urbanisti, semplici esponenti della società civile, turbati dai costi e soprattutto dalla strana struttura dell’edificio sacro.
Non lasciatevi condizionare. Andate e ammirate. A colpirvi saranno, già da lontano, infatti, l’altezza e la forma dell’edificio: un immenso cono in costoloni di cemento armato che raggiunge un’altezza complessiva, dalla base, di 103 metri. Potremmo dire che la sua vista vi si imporrà, letteralmente. Enorme è anche l’interno: l’aula cerimoniale ha una capienza di circa 11000 posti, cui si aggiungono i circa 3000 della vicina cripta circolare. La pianta, anch’essa circolare, nelle intenzioni di Parat e Ardault, voleva rappresentare l’umanità che protende verso Dio. Numerose sono, però, le interpretazioni che ne sono state date: faro, simboleggiato da Maria che conduce verso il “porto” di Gesù, tenda che raccoglie i fedeli e, infine, la più suggestiva, una lacrima che cade dal cielo. Non abbiate pregiudizi: fatevi trasportare dalla sua imponenza ed esuberanza verso dove meglio vi sembrerà. In fondo, è forse più semplicemente solo questo l’intento dei suoi ideatori. E ora, se siete da queste parti in tarda primavera o in estate, è giunto il momento di rinfrescarvi. Scegliete la vicina Riserva naturale orientata Oasi Faunistica di Vendicari: un’oasi protetta dove ristorarvi e meditare sulle bellezze così diverse e particolari, prima di un tuffo da una delle numerose spiagge limitrofe. Prima di raggiungere la riserva, fate una sosta nei piccoli borghi del siracusano ricchi di soprese, anch’esse inattese: Palazzolo Acreide, nell’interno, e Avola. Rimettetevi in auto e, imboccando la E45, proseguite fino a Favara dove si trova la terza tappa del vostro itinerario, Farm Cultural Park.
Farm Cultural Park a Favara
Favara è un piccolo paese dell’agrigentino su un leggero declivio. Il borgo storico si sviluppa attorno a piazza Cavour, dove si affacciano il castello dei Chiaramonte, tardoduecentesco, utilizzato per mostre, e alcuni palazzi ottocenteschi, tra cui palazzo Albergamo e palazzo Fanara, e novecenteschi, come palazzo Mendola con la biblioteca comunale. A pochi passi dalla piazza, l’una di fronte all’altra, la chiesa barocca del Rosario, con splendidi stucchi interni, e la quella del Purgatorio del ‘600. Il consiglio è di passeggiare per le stradine del centro perché è lì che i vostri occhi scopriranno un mondo inaspettato. Nel quartiere “I Sette cortili”, proprio all’interno di 7 piccole corti (come il nome del quartiere suggerisce), ha vita il Farm Cultural Park, il cui cuore nevralgico è nel cortile Bentivegna. Si tratta di un progetto del 2010, oggi realtà, portato avanti da una giovane coppia di appassionati d’arte che ha deciso di investire in questo paese. Ha avviato i restauri delle abitazioni abbandonate trasformandole in una galleria d’arte contemporanea, in un luogo di eventi e presentazioni di libri, in residenza per artisti. Una vera e propria fucina d’arte e idee, un museo a cielo aperto dove trovano dimora giardini arabi, facciate impreziosite da colorati murales, installazioni permanenti e spazi per il ristoro. Qui, un palazzo dell’800, palazzo Micciché, è diventato una piccola foresta, con felci, edere o palme e pareti impreziosite da murales: un luogo mistico di rigenerazione mentale, ma anche di incontri culturali; dalla sua terrazza poi la piacevole vista sul paese.
Cretto di Burri a Gibellina
Dimenticate per un attimo il barocco, i teatri greci (ma non perdetevi quello di Segesta, sempre in zona e apritevi invece a un’emozione nuova, per certi versi spiazzante. Quella delle avanguardie artistiche di Gibellina. Vi raccontiamo la storia. A seguito di un violento sisma, che nel gennaio del 1968 rase al suolo il paese, la comunità artistica italiana si mobilitò per trasformare Gibellina in un enorme luogo di sperimentazione a cielo aperto con un duplice intento: ricordare la città distrutta e, allo stesso tempo, creare da zero quella nuova. Al primo obiettivo, quello della memoria di Gibellina Vecchia, si dedicò l’artista italiano Alberto Burri che realizzò nel 1973 il suo celebre Cretto coprendo i ruderi e le macerie delle case distrutte dal sisma. Lo fece gettando sulle macerie una grande colata di cemento e calce dal colore bianco, visibile anche a distanza, che mima con la creatività le crepe e le fenditure del terremoto. Di fronte all’opera di Burri si trova, muto e isolato, il muro di una casa rimasto miracolosamente in piedi. L'intento dell’artista umbro fu quello di comunicare da una parte la potenza immane della natura e dall’altra la piccolezza dell’uomo al suo cospetto. In seguito, dagli anni ’80 in poi, il Cretto è diventato anche un inedito palcoscenico per ambientare spettacoli teatrali.
MAC Gibellina - Museo d’Arte Contemporanea “Ludovico Corrao"
A questo punto spostatevi di qualche chilometro, a Gibellina Nuova, la città reinventata non distante da quella distrutta. Capirete che ci siete vicini non appena avvisterete una porta di acciaio inox a forma di stella chiamata “Ingresso al Bèlice”: è una maestosa scultura di Pietro Consagra del 1980, emblema della ricostruzione del paese.
Gibellina Nuova ha un fascino tutto suo. Più che una città, infatti, è un luogo di vera e propria sperimentazione artistica e architettonica. Prima di visitare il paese, andate a visitare il MAC, il museo che raccoglie molte altre opere e bozzetti di quello straordinario gruppo di artisti che si mobilitarono dopo il sisma. Celebre a tal proposito la frase di Alberto Corrao (cui è intitolato il museo) che ben sintetizza lo spirito di questo spazio espositivo: “Venite a Gibellina, facciamo crescere i fiori dell’arte e della cultura nel deserto del terremoto, del destino, dell’oblio.” Fate vostra questa massima mentre contemplate la Sala Mario Schifano, parte della collezione permanente del museo dal titolo “Il Ciclo della Natura”, così come quella dedicata agli altri esponenti di Realismo e Astrattismo del ‘900, o alla Transavanguardia e all’Informale, oltre che la bellissima sezione fotografica e la Sala Forma 1 con opere, tra gli altri, di Antonio Sanfilippo e Pietro Consagra. Per citarne altri nomi, tra i più roboanti, di cui potete ammirare le opere: Arnaldo Pomodoro, Renato Guttuso, Lucio Fontana, Mario Schifano, Andrea Cascella, Carla Accardi, Pietro Consagra, Mimmo Paladino.
Terminata la visita dirigetevi nel cuore di Gibellina Nuova. Vi colpirà muovervi, nel silenzio, en plein air, in mezzo a opere di artisti contemporanei di fama mondiale, riunitisi qui per dare l’identità perduta a questo piccolo comune del Bèlice. Camminando scoprirete il sistema delle piazze (1987-90), concatenate in una sequenza prospettica con lunghi porticati e spazio pubblico urbano, vedrete murales quasi ad ogni angolo e resterete fermi a guardare una struttura di ferro e cemento, la torre civica o dell’orologio, opera di Alessandro Mendini, famoso architetto milanese: è un altro simbolo di Gibellina. Prima di lasciare il paese, salite in auto, raggiungete la modernissima chiesa Madre che reca la firma di Ludovico Quaroni per farvi sedurre dalla geometria delle sue forme e della sua cupola, la “Grande sfera bianca”.
Dopo questo viaggio nell’arte contemporanea, tra le avanguardie del secolo scorso e nella memoria del Bèlice, siete pronti a ripartire per raggiungere l’ultima tappa di questo viaggio, palazzo Abatellis a Palermo.
Carlo Scarpa e Palazzo Abatellis – Galleria regionale della Sicilia a Palermo
In questo viaggio nell’architettura siciliana tra passato e presente non può mancare Palermo. In particolare l’attenzione si concentra sulla nuova Galleria di palazzo Abatellis e sulla sua “rilettura” in chiave contemporanea affidata all’architetto veneziano Carlo Scarpa, che ha seguito anche il restauro di Palazzo Chiaramonte, più comunemente Steri, sempre a Palermo.
Il restauro di palazzo Abatellis e degli spazi espositivi, in particolare, è considerato come uno degli esempi più eleganti, geniali e interessanti nell’ambito della riprogettazione di edifici storici adibiti in spazi museali.
Costruito come dimora signorile alla fine del ‘400 su progetto dell’architetto siciliano Matteo Carnilivari, Palazzo Abatellis è un mirabile esempio di architettura gotico-catalana che si manifesta nel disegno rustico del portale di ingresso tra le due torri, nei decori leggeri delle piano nobile, e poi ancora nell’elegante loggiato a 5 archi della corte centrale. Successivamente adibito a convento monacale, danneggiato gravemente dai bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale, nel 1953 viene restaurato per accogliere il nuovo allestimento della collezione delle opere d’arte della Galleria Regionale della Sicilia. Il progetto fu affidato a Carlo Scarpa che decise di distribuire le opere scultoree al piano terra, quelle pittoriche al piano superiore introducendo negli spazi cinquecenteschi elementi moderni, giochi di luci e colori, materiali di contrasto che si adattano ai disegni e cura per ogni microscopico dettaglio. Fa tinteggiare le facciate del cortile con diverse tonalità dello stesso colore esaltando il rapporto tra pietra e luce, crea una scala a sbalzo su una struttura d’acciaio con i gradini in pietra, monta l’affresco “Trionfo della Morte”, collocato nell’abside della cappella, su un telaio rotante per dargli maggiore visibilità, realizza una saletta raccolta dedicata ad Antonello da Messina, oppure installa dei crocifissi medievali su basamenti in pietra nell’ampio salone principale. Tutto per esaltare l’architettura esistente e gli oggetti esposti. Il palazzo e la sua galleria meritano la visita anche per le opere preziose che vi sono custodite.
Una volta terminata la visita, andate alla scoperta delle altre bellezze che Palermo offre, oppure riprendete il vostro itinerario e promettetevi di ritornare nel capoluogo riservandovi più giorni. Oppure ancora rimettetevi alla guida della vostra auto alla volta del piccolo paesino di Motta d’Affermo per ammirare, su un’altura a dominio del mare, la Piramide al 38° parallelo di Mauro Staccioli, una interessante installazione in acciaio, e a breve distanza, a Castel di Lucio nel cuore dei Nebrodi, il Labirinto di Arianna di Italo Lanfredini, l’opera di land art che ha la forma di una grande spirale.