Rocca di Riva del Garda
Non occorrono troppi aggettivi per parlare bene del Lago di Garda. Già fra Lombardia e Veneto si sa in anticipo che su entrambe le rive si sarà conquistati da panorami, gite in battello, storia, cucina, passeggiate e mountain bike. Nel pezzettino più a nord che fa parte del Trentino a tutto questo si aggiunge un paradiso del windsurf: il vento che scende dalle Alpi, vivacizzando le acque del Garda fra Tòrbole e Riva, è un’attrattiva notissima in tutta Europa, irresistibile per schiere di giovani audaci in tuta di neoprene.
Riva stessa è una stazione turistica di primo livello. Secoli fa ci andavano i veneziani, ma per ragioni belliche. È rimasto nella storia il trasbordo via terra attraverso il passo San Giovanni fra la valle dell’Adige e il Garda di piccole imbarcazioni della Serenissima destinate a controllare il Lago. Oggi, anche se in direzione opposta, è lo stesso percorso che si fa da Riva per la strada statale 240, in modo da potersi poi avviare lungo l’Adige e l’autostrada del Brennero verso Trento, e più avanti allo spartiacque alpino.
Per il momento, un doveroso omaggio a Riva non può omettere la prima nella rassegna di fortificazioni alpine. La robusta Rocca di Riva dall’alto del suo mastio, medievale, offre un gran panorama sul Lago e la città. Nella bella stagione si visita all’interno il Museo Alto Garda, oggi noto semplicemente come MAG. Racchiude una bella pinacoteca con opere, che vanno da ‘400 all’’800, di artisti trentini o del posto e una raccolta archeologica che rimanda al medioevo.
Castel Beseno
Lasciando l’autostrada del Brennero all’uscita Nord di Rovereto, la statale del Brennero porta in breve a Calliano, da dove in meno di tre chilometri si può risalire al più straordinario fra i castelli nella valle dell’Adige. Dal basso lo si vede dominare a distanza (anche se, attenzione, si entra solo nei mesi centrali dell’anno).
Che cos’è un castello? In italiano non si distingue fra Schloss e Burg come in tedesco: il primo è una residenza nobiliare più o meno fortificata, il secondo un abitato protetto da mura attorno a una residenza. Castel Beseno per dimensioni è senza dubbio un Burg, anche se non lo potremmo definire un borgo nel senso che ha oggi il termine italiano: è gigantesco, con vie e piazze.
Per chi abbia letto il romanzo di Dino Buzzati, Castel Beseno è l’immagine perfetta della Fortezza Bastiani dove si arrovella il sottotenente Drogo nel Deserto dei Tartari. Alla Fortezza Bastiani del romanzo la battaglia non arriva mai: a Castel Beseno sì, in due occasioni entrambe vittoriose per la gente delle montagne, allora sotto governo imperiale. Nel 1487 si era combattuto contro i veneziani nella valle sottostante, investendo anche il gemello Castel Pietra lungo l’Adige. Nel 1796 Napoleone era riuscito a costringere alla resa Castel Pietra, ma Castel Beseno gli aveva resistito senza problemi.
Forte Belvedere Gschwent
Sono almeno nove secoli che Castel Beseno fa la guardia all’accesso dalla valle dell’Adige verso gli altipiani di Folgaria e di Lavarone. La strada statale 350 non ha tutti quegli anni alle spalle, ma oggi è comoda per arrampicarsi verso Folgaria e da qui prendere la provinciale 16. Si arriva in breve all’ex forte austro-ungarico di Gschwent, ribattezzato dopo la prima guerra mondiale Forte Belvedere.
Castel Beseno e Forte Belvedere hanno avuto funzioni militari abbastanza paragonabili, ma per età e struttura sono completamente diversi. Oggi hanno anche gestioni turistico-culturali differenti, perché Forte Belvedere è una vera “macchina da guerra” nella sua irresistibile capacità di farsi capire, raccontare la propria storia e far rivivere le dure condizioni di vita delle truppe di Francesco Giuseppe.
Come macchina da guerra nel senso letterale del termine, il Forte era stato progettato con criteri d’avanguardia: non un corpo unico ma una sapiente disposizione di opere corazzate l’una in funzione dell’altra, concepite in una logica difensiva in modo da comporre una linea comune con altre fortificazioni sugli altipiani fino ai Sette Comuni. Di quelle fortezze Forte Belvedere è l’unica a essere sopravvissuta, tutte le sue “colleghe” sono state, invece, demolite durante gli anni del fascismo.
Castello del Buonconsiglio
Lungo la valle dell’Adige, meno di 20 chilometri a nord di Castel Beseno, il capoluogo del Trentino è entrato a pieno titolo nella grande storia per via del Concilio di Trento. Quasi mezzo millennio fa la Chiesa cattolica si era riunita qui segnando destini fondamentali per l’Europa e non soltanto. Si può essere suggestionati dall’assonanza quasi perfetta fra la parola Concilio e il nome del Castello del Buonconsiglio, ma è soltanto un’assonanza.
Il Concilio non si era tenuto al Castello. Anzi il Buonconsiglio dove regnavano i principi vescovi di Trento ne era stato tenuto lontano, forse anche per rispettare la neutralità nelle votazioni sulle scelte conciliari. Nel 1545, anno in cui cominciava il Concilio, da pochi anni era venuto a mancare il più importante nella storia dei principi vescovi di Trento: Bernardo Clesio. Si devono a lui la costruzione e la decorazione della parte più clamorosa del complesso, il cosiddetto Magno Castello.
Mura, cortili, giardini, affreschi gotici medievali e altre opere d’arte sono di livello eccezionale: il Buonconsiglio è una meta irrinunciabile per chiunque viaggi nel nord Italia. Eppure poco a nord di Trento, sempre guidando lungo la valle dell’Adige, ci si accorge di lasciare le terre dove le parlate italiane sono da sempre dominanti. La segnaletica indica che si sta uscendo dal Trentino per entrare nel bilinguismo a prevalenza germanofona dell’Alto Adige/Südtirol.
Castel Forte / Trostburg
Una volta entrati in Alto Adige/Südtirol, la città maggiore che si incontra verso il Brennero è il capoluogo Bolzano/Bozen: qui di castelli ce ne sono come minimo 5, ma forse visitandoli tutti si rischierebbe il proverbiale eccesso di zelo. Una sosta praticamente obbligata è, invece, quella all’imponente Trostburg, una fortezza medievale trasformata in residenza e ribattezzata dopo la Grande Guerra Castel Forte, dove c’è da vedere il Museo dei Castelli. Il Trostburg domina l’abitato di Ponte Gardena/Waidbruck, una ventina di chilometri dopo che la statale e l’autostrada hanno lasciato l’Adige per risalire il suo affluente Isarco/Eisack.
Si è ormai molto distanti da Trento, e anzi quasi ai piedi delle Dolomiti. A Chiusa/Klausen si vedono sulla sinistra mura e torri del Monastero di Sabiona/Kloster Säben, e sempre al versante sinistro, la provinciale 142 può portare in breve al piccolo e intatto Castel Velturno/Schloss Velthurns.
L’itinerario prosegue da Chiusa/Klause risalendo le strade provinciali 163 e 29 fino al Passo delle Erbe/Ju de Börz, per scendere da qui verso San Martino in Badia/Tor a raggiungere il Ćiastel de Tor. Sono una quarantina di chilometri su strade di montagna attorno alle Odle e al Sass de Putia, fra panorami rasserenanti di verde e di dolomia, un tipo di roccia. Non deve sorprendere che la segnaletica preveda non più due lingue, l’italiana e la tedesca, ma anche una terza: la lingua ladina.
Forte di Fortezza / Franzensfeste
Come dice la parola, San Martino in Badia sotto il Ćiastel de Tor si trova in Val Badia, fra gli abitati e i monti che costituiscono la principale isola linguistica non germanica nell’Alto Adige/Südtirol. La statale 244 discende la Val Badia fino a innestarsi nella Val Pusterìa/Pustertal all’altezza della pittoresca San Lorenzo di Sebato/St. Lorenzen, all’ombra di altri due castelli.
La Pusterìa non ha pendenze nette. Lungo la statale 49 verso Fortezza/Franzensfeste quasi non ci si accorge che si sta perdendo quota fino a incontrare di nuovo l’Isarco/Eisack e incrociare la statale e l’autostrada del Brennero. È un punto strategico, come nell’800 l’impero asburgico aveva capito benissimo. Tanto la Pusteria quanto la valle sotto il Brennero sono percorsi facili, ottimi per i commerci ma anche per eventuali eserciti. A controllare vie d’accesso vitali per l’impero serviva qualcosa di più robusto che non la Chiusa di Rio di Pusteria/Mühlbacher Klause o Castel Rodengo/Schloss Rodenegg, magnifico con i suoi affreschi ma vecchio e decentrato. Di qui il bisogno della nuova Franzenfeste.
Se si prende un treno verso la Pusteria e il confine con l’Austria dalla stazione di Fortezza/Franzensfeste ci si accorge che i binari passano letteralmente in mezzo a quel potente sistema difensivo. Vista dall’autostrada l’imponenza della Franzensfeste è meno evidente, ma fa comunque impressione. Impressionante è anche la visita che si può fare di persona, oggi per altro in un contesto turistico, esplorativo e naturalmente pacifico.
Il Forte non è una fortezza: sono tre fortezze a quote diverse, variamente connesse in un insieme francamente grandioso. Ci si trova nel più ampio sito storico in provincia di Bolzano/Bozen, esteso quanto nove campi da calcio.
Castel Tasso / Burg Reifenstein
Una ventina di chilometri separano il Forte di Fortezza/Franzensfeste da Castel Tasso, ultimo in una rassegna che avrebbe anche potuto considerare un’altra miriade di castelli sul percorso dal Garda alle Alpi. Poco più a monte c’è per esempio Castel Wolfsthurn/Schloss Wolfsthurn in Val Ridanna/Ridnauntal, con toni barocchi e un museo della caccia e della pesca.
Entrambi questi due edifici si trovano attorno a Sterzing, città Bandiera Arancione del Touring Club Italiano e denominazione di una marca di yogurt oramai popolarissima anche nei supermercati. Per dare alla città un nome italiano, dopo la prima guerra mondiale, si andarono a riprendere toponimi antichi e il risultato fu Vipiteno. Del resto, anche fra la parola “Tasso” e la parola “Reifenstein” in comune c’è poco.
Un altro dubbio linguistico-culturale è quello già incontrato in Trentino a Castel Beseno riguardo la natura dell’edificio: Schloss o Burg? Castello o abitato fortificato? Per Castel Tasso la qualifica varia a seconda delle fonti, ma una risposta si può cominciare a trovare girando per scale di pietra e di legno, ballatoi, pareti affrescate, arredi d’epoca e stufe per il riscaldamento di quelle tipiche nel mondo alpino. C’erano sicuramente alcune stanze padronali e una cucina maggiore, ma molti indizi fanno pensare che qui vivessero parecchie altre famiglie: dunque meglio chiamarlo Burg. Risolto il dubbio, non resta che visitarlo (è uno dei meglio conservati del Tirolo con gli interni residenziali davvero notevoli!) e poi dedicarsi alle passeggiate sulle Dolomiti, magari dopo essersi seduti davanti a un piatto di canederli e un bicchiere di Traminer, con una torta di grano saraceno a fare da dessert.