Teatro Rossini a Pesaro
Il Teatro Rossini è molto più di un semplice teatro, è un santuario della musica, un luogo dove l’anima di Gioachino Rossini sembra ancora vibrare tra le pareti dorate, i velluti rossi e i maestosi lampadari di cristallo. Eppure un aneddoto curioso sostiene che Rossini, pur essendo nato a Pesaro, mai in vita abbia assistito a una sua opera nel tempio a lui dedicato; solo anni dopo la sua morte si tenne una memorabile stagione dedicata interamente alle sue opere. È un aneddoto, e la notizia non pare storicizzata. Per certo si sa che il teatro fu costruito attorno al 1818 sul luogo del seicentesco Teatro del Sole, distrutto da un incendio, che fu originariamente chiamato Teatro Nuovo e che fu inaugurato con la rappresentazione de “La gazza ladra”, opera che rifletteva già il prestigio e l’importanza che il “cigno di Pesaro” aveva acquisito all’epoca, e che nel 1854 fu ribattezzato Teatro Rossini per onorare il celebre compositore pesarese e sancire il profondo legame tra la città e il sommo musicista.
È un’atmosfera di pura magia che accoglie appena varcata la soglia del teatro, luogo in cui il passato glorioso incontra il presente, dove la musica continua a parlare, a emozionare, a vivere come se Rossini fosse ancora lì. Sensazione palpabile in particolare durante il Rossini Opera Festival, quando il teatro diventa un crocevia di artisti, appassionati e curiosi da tutto il mondo che qui confluiscono per celebrare la musica rossiniana, che risuona con una potenza e una grazia che lasciano senza fiato. È lui, l’illustre figlio di Pesaro, il protagonista indiscusso anche del Museo Nazionale Rossini: inaugurato nel 2019 è un viaggio multisensoriale che, attraverso documenti, manoscritti, strumenti musicali e cimeli personali, permette di esplorare la creatività sfrenata del celebre compositore. È la Casa Natale di Gioacchino Rossini invece il luogo dove tutto ha avuto inizio, dove il piccolo Gioachino sognava di un futuro che sarebbe diventato leggenda, dove da ragazzo ha imparato a suonare il clavicembalo e a scrivere le sue prime composizioni, dove ora stampe, ritratti, documenti ne ricostruiscono la sua affascinante storia.
Teatro La Fenice a Senigallia
Porta un nome simbolicamente molto potente il teatro di Senigallia, quello della mitologica fenice, che, secondo la leggenda, risorge dalle proprie ceneri dopo la morte, rappresentando così la rigenerazione, la rinascita e il rinnovamento. Distrutto in uno spaventoso incendio il 9 agosto 1838, il Teatro La Fenice fu ricostruito in poco meno di un anno e fino al 1930 fu uno dei più rinomati templi della lirica italiana sulle cui scene si avvicendarono cantanti di prestigio diretti da musicisti di altrettanta meritata fama, come Giuseppe Verdi, Pietro Mascagni, Ruggero Leoncavallo. La cattiva sorte, però, era ancora lì in agguato, cosicché un devastante terremoto lo colpì nel 1930 e successivamente non fu immune alle devastazioni della seconda guerra mondiale, eventi che lo condannarono a un graduale abbandono e a un lungo periodo di declino e forzata inagibilità. Ma nomen omen, e come la fenice il teatro ancora una volta era destinato a rinascere dalle proprie ceneri. La svolta decisiva arrivò negli Anni ‘90 del ‘900, quando la città di Senigallia decise di riportare in vita il teatro affidando un progetto di ricostruzione ambizioso e moderno all’architetto milanese Carlo Cappai.
Il 5 dicembre 1996, con una solenne inaugurazione, si alzò nuovamente il sipario del Teatro La Fenice, ora dotato di una grande sala principale con circa 900 posti, un foyer spazioso, sale prove e spazi per mostre ed eventi, rendendolo un centro culturale polivalente. Oggi, il teatro continua a risplendere, non solo come moderno spazio dedicato allo spettacolo, cuore pulsante della vita culturale di Senigallia, ma anche come un luogo dove storia antica e arte contemporanea si intrecciano grazie al rinvenimento di un’area archeologica affiorata durante i lavori per la costruzione del nuovo edificio. Visitabile, si trova sotto il teatro, e comprende una signorile domus romana, con pavimenti a mosaico, alcune tabernae e tracce dell’antica Sena Gallica, a testimonianza della presenza di un insediamento romano nella zona di Senigallia, importante centro commerciale e portuale sin dall'antichità.
Teatro Carlo Goldoni a Corinaldo
È piccolo e raccolto il Teatro Goldoni di Corinaldo, un gioiellino incastonato tra i vicoli stretti e le case di mattoni rossi all’interno delle mura medievali di uno dei borghi tra i più belli d’Italia. Ma il suo fascino va ben oltre le sue dimensioni, e lo si coglie appena varcata la sala, un capolavoro di eleganza e intimità circondato da 3 ordini di palchi che sembrano sospesi come piccoli nidi, ciascuno con la sua storia, gli sguardi e le attese trepidanti degli spettatori. E su tutti il soffitto, decorato con stucchi e affreschi che raccontano scene di gloria e bellezza, un cielo dipinto che sembra sfiorare i sogni degli spettatori seduti sotto di esso. Simbolo della comunità di Corinaldo è così che si presenta oggi il teatro, riportato al suo splendore originale dopo alterni periodi di declino e riaperto al pubblico una prima volta nel 1990, poi sottoposto a ulteriori restauri fino alla successiva inaugurazione nel 2005. Ma come per tutti i teatri delle Marche la sua storia viene da lontano, e rimanda al XIX secolo, periodo in cui i teatri pubblici erano centri vitali per la vita sociale e culturale dei piccoli borghi italiani. Fu infatti costruito tra il 1863 e il 1869, in sostituzione del settecentesco Teatro del Sol Nascente ormai vetusto e non più adeguato alle esigenze del tempo, e intitolato a Carlo Goldoni le cui commedie dissacranti della società veneziana divertivano e attiravano pubblico. Poi, dopo un periodo di grande vivacità culturale con rappresentazioni teatrali, concerti e spettacoli che animavano la vita cittadina, l’inevitabile declino che nel corso del ‘900 colpì molti teatri storici in Italia, vuoi a seguito del secondo conflitto mondiale, vuoi per la mancanza di fondi, vuoi per il cambiamento delle abitudini culturali e sociali indotte dall'avvento del cinema e della televisione che portarono a una riduzione delle attività teatrali. Infine l’esigenza da parte delle istituzioni e comunità locali di recuperare e preservare il proprio patrimonio culturale han portato alla rinascita del Teatro Carlo Goldoni, che è tornato a essere punto di riferimento per la vita sociale di Corinaldo, adattandosi ai cambiamenti del tempo e rinnovandosi senza perdere la sua identità storica con un cartellone ricco e accattivante, dagli spettacoli di prosa alla musica classica, dall’opera lirica alla danza, dagli incontri culturali ai progetti didattici, al teatro per le scuole e amatoriale.
Teatro Giovanni Battista Pergolesi a Jesi
Si staglia imponente, sulla piazza della Repubblica di Jesi, la sagoma del Teatro Pergolesi costruito tra il 1790 e il 1798 su progetto di Francesco Maria Ciaraffoni e poi rimaneggiato a opera di Cosimo Morelli, architetto pontificio: a lui si deve la curva ellittica della vasta sala, coperta da un’ampia volta dipinta da Felice Giani con Storie di Apollo. L’esigenza di dotarsi di un grande teatro che potesse ospitare spettacoli di qualità nacque dall’iniziativa di nobili famiglie jesine che finanziarono la costruzione dell’edificio, inizialmente chiamato Teatro della Concordia. Solo nel 1883 verrà intitolato a Giovanni Battista Pergolesi, per celebrare il genio del compositore nato a Jesi nel 1710, un omaggio al figlio illustre della città che da quel momento divenne una figura centrale nella programmazione teatrale, con numerose esecuzioni delle sue opere. Da subito il teatro assume un ruolo di primaria importanza, diventando un centro culturale di riferimento non solo per la città di Jesi, ma per l'intera regione. Siamo in pieno ‘800, la passione per l'opera lirica è particolarmente forte in Italia e Jesi non fa eccezione: in poco tempo il Teatro Pergolesi raggiunge il massimo splendore portando sul palcoscenico spettacoli di altissimo livello e rappresentazioni di opere di compositori di fama come Giuseppe Verdi, Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini. Numerosi sono gli interventi cui nel frattempo viene sottoposto, dalla sistemazione della piazza antistante ai lavori di ampliamento, sino all'installazione del monumentale orologio sulla facciata, dono del principe Eugène de Beauharnais dopo la sua visita a Jesi. Nel 1850, poi, arriva il sipario storico, realizzato dal pittore jesino Luigi Mancini. Si tratta di un’opera che celebra “L'ingresso di Federico II di Svevia a Jesi nel 1216”. Il teatro ha mantenuto nel tempo il suo prestigioso ruolo di luogo di aggregazione e spettacolo e ancora oggi propone un calendario fittissimo di musica operistica, sinfonica, prosa, nonché il Pergolesi-Spontini Festival, dedicato a Giovanni Battista Pergolesi e a Gaspare Spontini, altro celebre musicista marchigiano, evento che ogni anno ripropone le opere dei due artisti consacrando il legame tra passato e presente e unendo tradizione e innovazione.
Teatro delle Muse ad Ancona
Per Ancona il Teatro delle Muse, il più grande delle Marche, è molto più di un semplice edificio dedicato alla musica. Dopo la sua ricostruzione, è diventato un simbolo di rinascita e resilienza per la città, un luogo che incarna la capacità di riprendersi da eventi devastanti e di mantenere viva l'eredità culturale. In particolare un evento tragico ne segnò la storia quando, nel 1943, pesanti bombardamenti ne danneggiarono gravemente le strutture. Ma il desiderio di ridare la vita a questo simbolo cittadino non venne mai meno, cosicché dopo vari tentativi di ricostruzione avviati nel corso degli anni finalmente nel 1995 cominciarono i lavori di restauro definitivo, che portarono alla riapertura del teatro il 13 ottobre 2002. Un evento atteso con trepidazione, segno di rinascita culturale e di riscatto per tutta la cittadinanza, come attesa fu la solenne inaugurazione affidata all’Orchestra Filarmonica della Scala diretta dal Maestro Riccardo Muti, che tra gli altri eseguì l'Ouverture del “Guglielmo Tell” di Gioachino Rossini. Lo stesso Gioachino Rossini al quale, nel 1827, fu consacrata l’inaugurazione del Teatro delle Muse con la rappresentazione di due sue prestigiose opere: l’“Aureliano in Palmira” e “Ricciardo e Zoraide”. È a quell’epoca che risale la nascita del teatro, costruito a partire dal progetto dell'architetto Pietro Ghinelli. Fu intitolato alle Muse, divinità greche protettrici delle arti e della conoscenza, con l’augurio, e soprattutto l’ambizione, che quel luogo diventasse tempio dell’arte per eccellenza. Dopo l’inaugurazione il Teatro delle Muse è diventato subito un punto di riferimento per la vita culturale di Ancona, luogo d’incontro tra la grande tradizione del passato e la vibrante creatività del presente, con una ricca programmazione che oltre alla stagione lirica ne include una stabile di prosa, danza e teatro contemporaneo.
Sferisterio di Macerata
La prima cosa che colpisce quando si entra nello Sferisterio di Macerata, uno dei monumenti più iconici delle Marche e tra i teatri all’aperto più affascinanti d’Italia, è la sua imponente architettura neoclassica e la particolare forma semicircolare: quando sotto il cielo stellato la musica si diffonde è un senso di magnificenza ad avvolgere lo spettatore, come se l’arte e la storia si unissero in un abbraccio potente. Fu costruito tra il 1820 e il 1829 su progetto dell’architetto Ireneo Aleandri, che si ispirò a modelli palladiani, e sulla facciata reca ancora la scritta “Ad ornamento della città, a diletto pubblico. La generosità di cento consorti edificò. MDCCCXXIX” a ricordare che l’opera nacque per iniziativa di alcuni benestanti maceratesi, chiamati i “Cento Consorti”, che si tassarono per sponsorizzare un’opera grandiosa che avesse una funzione sociale e culturale per Macerata. Se il sistema di finanziamento era analogo a quello impiegato in altre città marchigiane per la fondazione di teatri storici, differente era il genere di spettacoli che lo Sferisterio avrebbe ospitato, essendo destinato a un antico sport, il gioco del pallone col bracciale, assai popolare in Italia nel XIX secolo, e contestualmente anche a esibizioni circensi ed equestri o utilizzato dai giostrai. Bisognerà aspettare il XX secolo per assistere a spettacoli e rappresentazioni teatrali in questo ampio spazio. L’anno di svolta radicale è il 1921 quando con la rappresentazione dell’“Aida” si decise di allestire la prima stagione lirica e di dedicarla a Giuseppe Verdi; l’anno dopo fu la volta di Amilcare Ponchielli portato in scena con la sua “Gioconda”. Complici l’acustica eccezionale e la suggestiva ambientazione che consente scenografie spettacolari, nonché il successo riscosso dai due eventi, da allora la trasformazione dello Sferisterio in tempio della lirica non ha conosciuto sosta. Oggi questa maestosa architettura è molto più di un teatro, è un monumento vivente che racconta la storia di una città e di una comunità che han saputo trasformare uno spazio sportivo in un tempio dell’arte, è uno dei luoghi più prestigiosi per la rappresentazione dell’opera lirica che raggiunge l’apice con il Macerata Opera Festival, appuntamento culturale tra i più importanti delle Marche e punta di diamante dello Sferisterio, divenuto riferimento internazionale nel panorama operistico e richiamo di appassionati e critici di tutto il mondo.
Teatro dell’Aquila a Fermo
Tra i teatri storici più importanti delle Marche e uno dei più imponenti del suo genere in Italia, la storia del Teatro dell’Aquila di Fermo si intreccia con lo sviluppo culturale e sociale della città e riflette l’importanza che le arti sceniche hanno avuto per Fermo e il suo territorio. Inaugurato nel 1790, si narra che il progetto iniziale fosse destinato a un’altra città, ma il consiglio comunale riuscì a convincere Cosimo Morelli, uno dei più importanti architetti del suo tempo, a realizzarlo proprio lì. Prese il nome “dell’Aquila” in onore del simbolo araldico presente sullo stemma cittadino e per conferire al teatro una forte identità locale e un altrettanto forte legame con la sua comunità. Al termine dei lavori Morelli regalò alla città una delle più belle sale teatrali d'Italia, un’opera di grandi dimensioni in grado di competere con le strutture teatrali francesi e con lo stesso Teatro alla Scala di Milano, di poco precedente. L’inaugurazione fu un evento grandioso e per l’occasione fu messa in scena “La distruzione di Gerusalemme” del compositore Giuseppe Giordani. Da allora fu l’opera lirica a dominare il cartellone del teatro, grazie anche alla presenza di ospiti illustri che varcarono le sue porte, del calibro di Giacomo Puccini, presente alla rappresentazione del suo primo lavoro giovanile, “Le Villi”, il giovane Arturo Toscanini, che intervenuto per assistere a un’opera di Giuseppe Verdi espresse una grande ammirazione per il teatro, e poi il figlio illustre delle Marche, Gioachino Rossini, del quale vennero portate in scena molte sue opere come “La pietra di paragone”, “L’italiana in Algeri” e “La Cenerentola”. Pur nella sua magnificenza, nel corso del ‘900 anche il fermano Teatro dell’Aquila, alla stregua degli altri teatri storici, fu soggetto a periodi di forzata inattività. Solo nel 1997, considerevoli lavori di restauro restituirono a Fermo il suo teatro in tutta la sua imponenza e bellezza. Oggi, il Teatro dell’Aquila è un punto di riferimento per le arti performative nelle Marche e ogni anno ospita una stagione teatrale che include opere liriche, spettacoli di prosa, concerti sinfonici, balletti, confermando così del suo ruolo di simbolo della città e di tappa fondamentale della vita culturale marchigiana.
Teatro Ventidio Basso ad Ascoli Piceno
Il Teatro Ventidio Basso è un luogo dove la magnificenza dell’arte teatrale si intreccia con la storia di una città fatta di pietra, un gioiello nascosto tra le viuzze medievali di Ascoli Piceno, dove sorge maestoso, quasi inaspettato, nelle immediate vicinanze di piazza del Popolo. Il teatro fu realizzato tra il 1840 e il 1846 su progetto dell’ascolano Ireneo Aleandri in sostituzione di un precedente teatro di legno ormai desueto, opera dell’architetto Giovanni Maria Galli. Fu intitolato a Ventidio Basso, illustre condottiero romano di origine ascolana. All’inaugurazione del novembre 1846, molto attesa da tutta la cittadinanza che vi partecipò con grande slancio, furono portati in scena “I puritani” di Vincenzo Bellini e l’“Ernani” di Giuseppe Verdi. Il ‘900, come per altri teatri marchigiani, non fu semplice neppure per il Ventidio Basso, che dovette affrontare lunghi periodi di chiusura e decadimento. Finalmente nel 1980 venne programmato un lungo, necessario restauro che tenne il teatro chiuso per quattordici lunghi anni. E ne valse la pena. Al Ventidio Basso fu restituito il suo splendore originario e dotato di un’acustica talmente eccellente che, si narra, persino i grandi musicisti e direttori d’orchestra, durante le prove, rimanevano impressionati dalla qualità del suono che si diffondeva in maniera uniforme in ogni angolo della sala. È pleonastico narrare lo stato d’animo della cittadinanza in attesa della riapertura del loro teatro, che nel mese di ottobre del 1994 fu solennemente celebrata con la “Traviata” di Giuseppe Verdi. E fu un trionfo.