La regione Campania attraverso la pizza di Gino Sorbillo
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Storia del Pomodoro San Marzano DOP e altre meraviglie della Campania a tavola
Secondo la tradizione, il primo seme di pomodoro arrivò in Italia intorno al 1770: era un dono del viceré del Perù al Regno di Napoli e venne piantato nelle campagne di San Marzano sul Sarno, in provincia di Salerno, dove si adattò subito al terreno vulcanico. Sarebbe nato così il Pomodoro San Marzano DOP, chiamato anche l’oro rosso della Campania, per il valore economico che avrebbe assunto per gli agricoltori locali.
Leggenda a parte, le prime testimonianze storiche di questo pomodoro si hanno agli inizi del Novecento, dove è attestato tra Nocera, San Marzano e Sarno. Amato dalle massaie campane per condire la pasta del pranzo della domenica, il San Marzano con la nascita delle industrie di conservazione va alla conquista di tutte le tavole italiane. Infatti la sua forma allungata, la polpa carnosa, con poca acqua e pochi semi, lo rendono adatto ad essere trasformato in pelati o conserve alimentari, perché con una veloce cottura mantiene il suo gusto inalterato. Oggi si coltiva in 41 comuni compresi tra le province di Salerno, Napoli e Avellino.
Oltre al Pomodoro San Marzano DOP
Il suo sapore agrodolce è perfetto per realizzare la salsa di pomodoro, con cui condire magari un altro tesoro agroalimentare della Campania: la Pasta di Gragnano IGP, prodotta utilizzando le trafile in bronzo, e celebre perché rimane sempre al dente.
Ovviamente il San Marzano è il pomodoro perfetto per condire la pizza, simbolo della cucina campana, magari accompagnato da un Fiordilatte di Agerola DOP o alla Mozzarella di Bufala DOP. Quest’ultima delizia arriva in Campania addirittura in epoca normanna, visto che furono loro a introdurre i bufali in Italia, e si chiama così dal termine “mozzare”, che indica il modo in cui ancor oggi nei caseifici si lavora a mano questo formaggio unico, prendendo un pezzo di cagliata filata e separando le mozzarelle una ad una.
Sapori unici legati alla storia del territorio, come lo Sfusato Amalfitano, o i limoni di Amalfi IGP, agrumi dal giallo brillante e dal profumo deciso che vengono coltivati in Costiera sin da quando un decreto della Repubblica di Amalfi obbligava tutte le navi a tenere a bordo una scorta di limoni, in modo da prevenire lo scorbuto tra i marinai. Si può gustare il suo sapore unico negli scialatelli al limone, un piatto prelibato dove la pasta fresca all’uovo tipica della Costiera incontra il limone, accompagnato da gamberi e pomodorini. Magari usando proprio il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP, antichissimo prodotto campano dal colore rosso intenso e dal sapore leggermente amaro, che è rappresentato persino nel tradizionale presepe e si coltiva appunto alle pendici del vulcano.
Dalla tradizione marinara della Costiera Amalfitana arrivano anche gli spaghetti con la colatura di alici, tipici di Cetara, paese di pescatori. Qui ancor oggi spremendo le alici sotto sale si realizza questa salsa unica, dal sapore deciso e dal colore ambrato.
Nella pasticceria la varietà e l’inventiva della cucina campana offre il meglio di sé. Ad esempio nella sfogliatella, riccia (con la pasta sfoglia) oppure frolla (con la pasta frolla), nata secondo la leggenda per caso nel monastero di Santa Rosa da Lima a Conca dei Marini vicino Salerno. O nella pastiera napoletana, simbolo della Pasqua, a base di grano, acqua di fiori d’arancio, canditi e pasta frolla, e nella torta caprese, anch’essa frutto di un errore commesso dal pasticcere Carmine Di Fiore negli Anni 20: stava preparando un dolce con cioccolato e mandorle ma si scordò di metterci la farina. Da non dimenticare è il babà, il dolce simbolo di Napoli. Ha una storia curiosa: fu inventato dal re polacco Stanislao Leszcynsky in esilio in Lorena, poi arrivò a Parigi e in seguito sotto la dominazione borbonica giunse in Campania, dove la ricetta venne perfezionata e gli venne data la tipica forma a fungo che lo rende inimitabile.
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