Matera da film
Matera ha fatto tanta strada dagli anni ’50, quando i quartieri dei Sassi erano poco più che caverne. Un po’ di merito va anche a chi si è accorto della sua struggente bellezza e l’ha documentata: il primo è stato Carlo Lizzani con due documentari, “Viaggio a Sud” nel 1949 e “Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato” nel 1950, che raccontavano la miseria della città insieme al suo fascino. Più tardi, nel 1964, è stato Pier Paolo Pasolini ad avere un’apertura intellettuale verso Matera e i Sassi, dove ambientò il suo “Il Vangelo secondo Matteo”. Pasolini trovava in Matera più Gerusalemme di quanta ne trovasse in quella vera: la città lucana era più pura e autentica, senza alcun segno di modernità. Gli stessi panni Matera li ha vestiti per “La Passione di Cristo” di Mel Gibson, nel 2004. Difficile contare alla mano il numero di pellicole a cui Matera ha fatto da quinta scenografica, ma di certo ricordate le prime scene de “L’uomo delle stelle” di Tornatore o due capitoli della saga che coinvolge la spia più famosa del mondo, “007 Quantum of Solace” del 2008 e “007 No time to die” del 2021. Nell’ultimo capitolo della saga di 007, due delle scene più spettacolari riguardano la chiesa e convento di S. Agostino davanti al quale James Bond sfreccia a bordo della sua auto e la chiesa Madonna delle Vergini, dove è stato ricostruito il cimitero britannico, teatro di una esplosione.
Melfi e il Vulture, “Io non ho paura”
Il monte Vulture è un vulcano dal profilo inconfondibile. Un cono verde e spento, con un crinale a sette cime. Intorno, la terra lavica e le colline gialle di grano, i vigneti dell’Aglianico e qualche borgo formano il territorio del Vulture Melfese. È questa terra rurale, con le sue masserie e le distese di spighe mature che ha fatto da cornice a “Io non ho paura”, film di Gabriele Salvatores tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti. Le riprese hanno interessato le campagne tra Leonessa (la minuscola e immaginaria Acqua Traverse), Rapolla e Melfi, immediatamente riconoscibile per il suo skyline delineato dalla mole del Castello dalle dieci torri e dal campanile della cattedrale di S. Maria Assunta. Il paese fu importante sede vescovile e residenza reale normanna: Federico II di Svevia si trasferiva in estate nelle sale del castello, che oggi ospita il Museo nazionale archeologico del Melfese Massimo Pallottino.
Barile, Pasolini e “Il vangelo secondo Matteo”
Matera come Gerusalemme, Barile come Betlemme. Nel 1964, quando Pier Paolo Pasolini girò il suo “Il vangelo secondo Matteo”, ambientò a Barile alcune delle scene clou del film. Pasolini trovava questi “luoghi miseri, spogli, disadorni, per nulla spettacolari. Eppure densi di sacro”. Aveva ragione. Barile ha un forte legame con la religione. Veniteci durante la Settimana Santa, il Venerdì Santo, per la solenne processione dei Misteri: assisterete a una rappresentazione colma di devozione e struggimento che sposa il simbolismo proveniente da reminiscenze albanesi. Barile è un borgo, infatti, d’origine “arbëreshë” (greco-albanese) di cui conserva usi e costumi, lingua e… cantine. Quelle cantine ricavate nelle grotte tufacee della collina Sheshë, scavate dalle colonie albanesi che si trasferirono qui nel 1477 e che oggi formano il Parco urbano delle Cantine. È questo un paesaggio davvero insolito e affascinante, aspro, che Pasolini utilizzò per le scene della Natività, dell’adorazione dei Magi, della strage degli innocenti e della fuga in Egitto.
Craco e Aliano: “Cristo si è fermato a Eboli”
Tra Craco, i calanchi e Aliano, luoghi che paiono dimenticati da Dio, Francesco Rosi ha portato la troupe e gli attori del suo film “Cristo si è fermato a Eboli”. Arcaico e isolato: così è il paesaggio della pellicola di Rosi, trasposizione cinematografica dell’opera letteraria di Carlo Levi. “Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l'anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia” scriveva Carlo Levi.
A Craco si respira un’atmosfera surreale: un paese fantasma, a picco sulla roccia, fatto di una cascata di case in pietra aggrappate le une alle altre, stradine e scalini, una torre normanna e un castello del XII secolo. Si prosegue attraversando il paesaggio aspro e lunare dei calanchi prima di arrivare ad Aliano, paese di confino di Carlo Levi, un borgo sospeso nel tempo e nello spazio.
Maratea, “A porte chiuse” e “Basilicata Coast to Coast”
Nel piccolo tratto di costa tirrenica di cui la Basilicata è titolare (sono sì e no 30 chilometri), c’è Maratea, che con una decina di frazioni si estende tra Campania e Calabria in un tripudio di falesie calcaree, piccole cale o ampie insenature, anfratti e tanta macchia mediterranea. Maratea è sì una località marittima, ma anche luogo di montagna con vista mare. A Maratea si sale e si scende sempre. I pendii scoscesi e le scale del centro storico vi abitueranno alla verticalità del paesaggio, che è davvero una meraviglia. L’abitato, di origine medievale, si scopre attraversando vicoli in fiore su cui sfilano case colorate, piazzette lastricate, chiese e cappelle che svelano marmi policromi e pavimenti in maiolica. Poi tocca salire alla statua del Cristo Redentore: 350 metri di dislivello per porsi al cospetto di un colosso alto 22 metri e alla vista più scenografica del Golfo di Policastro. Per questo Maratea è stata scelta da Dino Risi per “A porte chiuse”, del 1961, con Anita Ekberg come protagonista. Non è il miglior film del grande Risi, ma resta il fatto che fu il primo a essere girato qui a Maratea. Nel 2010 è arrivato Rocco Papaleo, lucano di nascita, all’esordio come regista di “Basilicata Coast to Coast”. La pellicola racconta il viaggio a piedi di quattro amici musicisti, da Maratea alla volta di Scanzano Jonico, per partecipare a un festival musicale: un cammino fatto di imprevisti e incontri inattesi che attraversa gli incantevoli paesaggi lucani.