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Enogastronomia
Emilia Romagna

Valsamoggia: storie di cibo gourmet e sostenibilità alle porte di Bologna

Tipologia
Percorso a piedi
Durata
2 giorni
Numero Tappe
3
Difficoltà
Facile

Le terre di mezzo sono spesso da esplorare, semisconosciute perché terre di confine, meno battute, di passaggio ma dove difficilmente ci fermiamo, e le cui tradizioni resistono di più allo scorrere del tempo. Uno di questi luoghi è in Emilia Romagna: la val del Samoggia con Valsamoggia, un comune sparso che ne ha accorpati cinque. Tra questi Savigno, Monteveglio e Crespellano, sono tre tappe in un territorio di colline solcato dai caratteristici calanchi, intervallato da rupi, boschi e prati tra Modena e Bologna, ma anche nel mezzo dell'eccellenza di prodotti e realtà enogastronomiche. Il principe della Valsamoggia è il tartufo, che si affianca alle coltivazioni del grano e della vite, con l’uva autoctona da cui si ottiene il Pignoletto, il re dei colli bolognesi. 

Ricca di siti di interesse storico, che vanno dall'epoca etrusca all'ultima guerra mondiale, la val del Samoggia è anche una terra con una forte personalità, conviviale e accogliente, fatta di sorrisi e dove si respira la tradizione rurale e contadina, ma anche la voglia di innovazione emiliana e l’impegno nello sviluppo sostenibile.

In questa culla è nato una sorta di patto tra ristoratori e produttori, contadini, allevatori, vignaioli che oltre a vivere a Valsamoggia, essere amici, smart, dinamici e fare la gara a chi fa il tortellino più buono, lavorano insieme facendo rete, puntando sulla qualità e condividendo una passione per i prodotti della loro terra, da salvaguardare e far conoscere. È una sinergia con una doppia anima, una a vocazione agricola e una gourmet, entrambe animate dalla finalità di marketing territoriale attraverso il gusto, creando sapori che rimangano indelebili nella memoria, valorizzando i prodotti e i produttori di qualità. Prodotti che da sempre finiscono nelle dispense e sulle tavole di Bologna, ma che si vuole raccontino anche il territorio da cui provengono, come meta turistica alternativa alla grande città.

Savigno

Savigno

Nella valle del Samoggia si incontra Savigno, in una zona di pregiata produzione vinicola. Un caso emblematico è la rinomata Trattoria Amerigo 1934 in cui vale la pena prenotare un pranzo o una cena per assaporare i frutti della terra e le ricette della tradizione ma proposte e presentate in una versione moderna, senza grassi aggiunti e con poco olio. Lo chef e patron è Alberto Bettini che si reca di persona a scegliere i frutti e le foglie migliori nei campi del produttore Federico Orsi del Vigneto san Vito, per poi rielaborali con successo in piatti appetitosi. Un esempio è la “torta coperta alle erbe di Federico Orsi”, ricetta emiliana della tradizione che campeggia sul menu della trattoria. Mentre per la pasta tirata sapientemente a mano, Alberto sceglie una ad una le uova delle galline di Emilio Ruggeri dell'azienda agricola Pollo Samoggia che ruspano all'aperto, insieme alle farine biologiche di Maurizio Vallona delle Fattorie Vallona. Vallona, oltre ad essere viticoltore, ha assemblato un mulino per macinare miscugli antichi e un paio di varietà moderne. Per i salumi invece, Alberto si rivolge all'azienda agricola Cà Lumaco nel comune di Zocca, che con l’allevamento brado di suini di razza Mora produce dei salumi biologici eccezionali.

Monteveglio

Monteveglio

Che cosa potrebbe chiedere di meglio un pittore paesaggista? Un’abbazia svettante sul colle e una campagna di antica bellezza disegnata in vallette, contrade e vigne. È questa la visione che si presenta alle soglie della valle del Samoggia, e questa volta siamo a Monteveglio. Qui nel mezzo dell’abbazia, al centro del Parco regionale dell'Abbazia di Monteveglio, sta la Trattoria del Borgo. Su un cocuzzolo in cima a una collina, il titolare Paolo Parmeggiani non ha la possibilità di coltivare un orto e quindi ha un accordo con l'azienda agricola la Ca' Vecia a 400 metri da lui, dove acquista ogni anno le quantità di ortaggi necessari per il ristorante, approvvigionandosi con frutta e verdura fresche e di stagione. L'idea di fondo di Parmeggiani è “che ognuno fa il proprio mestiere perché è più saggio lasciarlo fare a chi lo fa meglio, così anziché preparare il pane in casa, cerco il forno migliore della zona, e servo in tavola il suo pane raccontando ai miei clienti da dove proviene”. 

Per la ciliegia Moretta, una varietà della zona che viene salvaguardata senza l’innesto di varietà commerciali, l'idea è invece quella “dell'adotta un albero”, per cui si acquista dal contadino la produzione di un'intera pianta. E per trasformare i frutti non vendibili freschi è nato il piccolo laboratorio Rubedo a Castello di Serravalle, gestito da un giovane che produce squisite marmellate di ciliegia, conserve e succhi con frutti che altrimenti andrebbero sprecati e invece vengono venduti ai ristoranti vicini. Uno di questi è la Trattoria dai Mugnai di Stefano Parmeggiani, allestita nel vecchio molino da cereali, come recita la scritta dipinta sulla facciata, uno dei pochi edifici storici di Monteveglio fuori mura nel centro del paese. Con una cucina della tradizione e prodotti di provenienza tutta locale.

Anche Corte d'Aibo, azienda agricola, cantina e agriturismo con a capo il viticoltore Antonio Capelli, è un esempio di sostenibilità ante litteram, perché fin dagli albori nel 1988 si è fondata sul rispetto per l’ambiente, investendo in energie rinnovabili e in tecnologia ecosostenibile. Nasce più di trenta anni fa con un progetto di agricoltura biologica che “allora era considerata una follia” racconta Antonio. “Era il progetto di tornare alla collina”, seguendo il ritmo lento della terra per produrre vini del territorio, recuperando le radici. Dieci anni fa quando Antonio ha cominciato, l'agricoltura biodinamica e l’approccio olistico in equilibrio con l'ecosistema terrestre, sembravano una stregoneria. Antonio produceva vini senza solfiti quando nessuno ne parlava mentre ora lo richiedono tutti. "Utilizziamo le anfore di terracotta di eredità etrusca che valorizzano le caratteristiche dell'uva". Ma la cosa fondamentale è il tipo di agricoltura che a Valsamoggia si vuole impiegare. Ed è un'agricoltura della prossimità. “Io esportavo l'80% del mio vino, ma che senso ha un'agricoltura biologica e biodinamica nel rispetto della terra, se poi esporto in Giappone? Non ha più senso che le mie bottiglie me le chieda il droghiere del paese? Perché occorre un nuovo modo di fare agricoltura, dove metti la tua personalità, la sensibilità, la capacità di stare nei campi e la capacità di osservazione. E non un'agricoltura che si basa su protocolli, su modelli e su standard.”

Crespellano

Crespellano

La frazione di Crespellano è detta città delle ville, se ne contano dieci considerando anche gli immediati dintorni. Fra le più rappresentative c’è la seicentesca villa Aldrovandi, appartenuta alla famiglia del celebre botanico e decorata da fregi e motivi araldici. E quella che ospita la biblioteca Palazzo Grassi, ora Garagnani, è un edificio cinquecentesco dalla bellezza austera, culminante con la torre che domina il paese e troneggia di fronte alla chiesa parrocchiale. 

È qui che Federico Orsi lavora al suo Vigneto San Vito, un’azienda che produce vini a fermentazione naturale con metodo biodinamico e che nel tempo si è diversificata con l’orto e un piccolo allevamento di maiali di razza Mora Romagnola. Sono di questo orto biodinamico ricco di biodiversità e varietà antiche gli ortaggi che finiscono sulle tavole della Trattoria Amerigo 1934 ma anche su quelle di Corte d’Aibo, la Trattoria del Borgo e l’Enoteca La Zaira. In questo modo non solo il vino ma anche prodotti con meno appeal quali la zucchina o il pomodoro, hanno la possibilità di essere raccontati e valorizzati dalle mani esperte degli chef.

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