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Enogastronomia

Tour nella cucina vegetariana della Sicilia

Piatti vegetariani che raccontano la storia e la cultura della Sicilia

6 minuti

La vita è fatta di scelte, si sa. E una scelta che sta riscuotendo sempre più successo negli ultimi tempi è quella legata ad abitudini alimentari vegetariane. Che sia una scelta etica per il rispetto di altri esseri viventi o per inquinare meno il pianeta, o semplicemente per gusto, avete deciso di non mangiare né carne né pesce… ma avete prenotato una vacanza in Sicilia. Se state pensando che qui ci siano solo pesce fresco, arancine/arancini al ragù, frattaglie da street food, vi sbagliate: la tradizione culinaria siciliana deriva da una cucina povera, e i poveri, in tempi passati, non potevano permettersi né carne né pesce, se non per le grandi occasioni. Tanto che, per far durare di più gli ingredienti, per così dire "pregiati", arrivavano addirittura a razionarli o solo ad assaggiarli senza consumarli.

È il caso del famoso detto "liccari a sarda", rimasto nella lingua siciliana per indicare una condizione di indigenza o difficoltà (oggi, soprattutto economica), ma che in realtà deriva da una leccata alla sarda vera e propria: si appendeva per la coda una sarda (al lampadario o ad una trave del tetto), si mangiava il pane e si dava appunto una leccata, per averne il sapore in bocca senza però consumare il pesce. In queste condizioni bisognava pur vivere e si sa che la fame aguzza l’ingegno.

Verdure, legumi, spezie, formaggi. Sono davvero innumerevoli i piatti vegetariani sull’isola. Alcuni sono pansiciliani, cioè potete trovarli ovunque sull’isola, come il maccu ri favi (crema di fave con pasta o altre varianti), la pasta con i tenerumi (foglie di zucchina lunga), la caponata, l'insalata di arance. Per non parlare dei dolci: granite, brioche con gelato, paste di mandorla. In questo articolo, assaggeremo alcuni piatti vegetariani tipicamente locali, per scoprire un’altra Sicilia da gustare. Pronti?

 

Provincia di Catania, Siracusa, Ragusa e Agrigento

Provincia di Catania, Siracusa, Ragusa e Agrigento

Partiamo sicuramente da uno dei piatti più noti: la pasta alla norma. Siamo a Catania, città di Vincenzo Bellini. Cosa c’entra? Secondo alcuni il nome deriverebbe proprio dalla Norma del compositore catanese, in quanto questa pasta con sugo di pomodoro, melanzane fritte e ricotta salata è un vero e proprio capolavoro! Ovviamente la pasta con le melanzane fritte è un’altra preparazione pansiciliana, la trovate cioè, con numerose varianti, dappertutto. Ma se siete a Catania non potete non assaggiarla nella città che l’ha battezzata. Prima di ripartire, provatela anche nella versione “arancino” (sì, qui è masculu, attenti!): la classica palla di riso con sugo alle melanzane e formaggio!

Scendiamo verso la punta meridionale tra il siracusano e il ragusano. In tutta quest’area è possibile assaggiare la stimpirata (che nasce come preparazione per la carne, fatta con patate, carote e olive, saltate in padella con aglio, menta, olio e aceto) o la gghiotta (nella sua forma più classica con patate, cipolle, pomodoro e peperoni leggermente in agrodolce). Nel territorio intorno a Modica (Rosolini, Ispica, Pozzallo, Scicli, Ragusa) poi, da provare assolutamente le scacce modicane (o ragusane), le mpanate, i buccateddi: rustici (sorta di calzoni) cotti al forno, con diverse farce e preparazioni (ricotta e cipolla, pomodoro e cipolla, pomodoro e prezzemolo, pomodoro e melanzane). Se siete in zona non potete perdere l’occasione di assaggiare la pasta fresca fatta con farina di carruba a Rosolini, di assaggiare i derivati della carota e del sesamo (presidi slow food) di Ispica e, soprattutto, il cosacavaddu (caciocavallo) ragusano. Per finire, c’è sempre spazio per sua maestà il cioccolato di Modica.

Risaliamo ora verso il centro dell’isola. Dopo una breve sosta per assaggiare le preparazioni a base di cipolla di Giarratana, è d’obbligo uno spuntino nell’ennese con piacentino ennese (formaggio di pecora con aggiunta di zafferano e pepe nero, che lo rendono caratteristicamente giallo e piccantino) e pane del Dittaino (un pane DOP ottenuto da semole di grani duri antichi). In quest’area centrale, tra Enna e Caltanissetta, tipica è poi la frascatula, una sorta di polenta tutta nostrana: una preparazione a base di verdure (soprattutto erbe spontanee: cicoria, borragine, bietole, asparagu, finocchietto, amarelli, senape) e farina. Da provare ovviamente, come si suol fare con tutte le polente avanzate, anche nella versione fritta!

Torniamo ora verso la costa e avviciniamoci ad Agrigento. Da assaggiare sicuramente il Macco di San Giuseppe (una minestra di legumi), il pitaggio (contorno a base di fave, piselli e carciofi che viene preparato come se fosse una zuppa, ma può essere impiegato anche come accompagnamento per il riso o come base per una frittata; è diffuso anche nel palermitano), il cuddiruni di Siculiana (una sorta di pizza imbottita): tutto accompagnato dal pane di Castelvetrano, con la sua irresistibile crosta croccante, ancora più buono se farcito con le mandorle.

 

Provincia di Trapani, Palermo e Messina

Provincia di Trapani, Palermo e Messina

Arriviamo quindi nella punta occidentale della Sicilia, nel trapanese. Qui i cous cous la fanno da padroni (ovviamente chiedetelo vegetariano!), insieme alle busiate (pasta filiforme arricciata) con pesto alla trapanese: un pesto che deriva da quello genovese (i genovesi lo portavano con sé nei loro viaggi e nelle loro soste nei porti siciliani), che i trapanesi hanno modificato aggiungendo i prodotti tipici del territorio. È bastato unire basilico, pomodori, mandorle, pecorino, aglio rosso di Nubia (presidio slow food) e…voilà: il pranzo è servito. Anche in quest’area (e anche a Favignana) si preparano le frascatole, ma nonostante il nome sia uguale a quelle del centro dell’isola, la ricetta è diversa! È un derivato del cous cous e la tradizione vuole che nasca nelle cucine dei nobili: i poveri raccoglievano gli scarti di cous cous mal lavorato perché troppo grossolano e lo abbinavano alle verdure. Oggi vengono preparate lavorando intenzionalmente la semola per ottenere una resa più grossolana, condita poi con sugo di verdure. Se siete invece nell’assolata Pantelleria e volete un piatto fresco chiedete della salsa all’ammogghiu, un pesto di pomodoro con aglio, peperoncino e basilico. Che sia sulla pasta, sulle bruschette, o per accompagnare i fritti, vi stupirà per la sua bontà, la sua freschezza e la sua semplicità!

Arriviamo dunque nel territorio della capitale: Palermo. La mente vola subito a pane, panelle e crocché, sottili frittelle realizzate con farina di ceci le prime, polpette fritte di patate le altre, che farciscono tre tipi diversi di pane: la Mafalda, la Scaletta e la Focaccia (o vastedda). Ma anche alle arancine (qui fìmmine, eh!) gourmet di più recente invenzione (ne troverete per tutti i gusti) e la raschiatura (nata nelle friggitorie per evitare preschi: con rimasugli e avanzi di ceci per panelle e patate per crocché). Non potete ripartire senza aver assaggiato un piatto che nasce proprio a Palermo (ma che è diffuso anche in tutte le Madonie): il cacio all’argentiera (o falso coniglio), caciocavallo soffritto con olio aromatizzato all’aglio e aggiunta di aceto e origano. Se invece siete a Ustica non potete non provare i piatti a base della piccola lenticchia dell’isola, presidio slow food.

Torniamo quindi verso est, nel messinese. Oltre ai gustosissimi formaggi e sottolii dei Nebrodi, non potete non assaggiare le olive ripiene alla messinese (con una farcia di pangrattato, pecorino siciliano, capperi di pantelleria e aceto di vino bianco), o la pasta ncasciata alla messinese. Le varianti di questa pasta al forno sono molte (chiedetene ovviamente una vegetariana) ma gli ingredienti fondamentali sono sicuramente la melanzana fritta e l’abbondante cacio cavallo. Tutto filerà e scrocchierà grazie alla cottura al forno in tegami bollenti di terracotta. Se vi state godendo invece il mare e la natura delle Eolie, rifocillatevi con un bel piatto di caserecce ai capperi: pasta con pomodori, capperi e soprattutto…  i cucunci, il frutto del cappero (quello che noi chiamiamo “cappero” altro non è se non il bocciolo del fiore).

 

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