Nel bel mezzo di una natura potente e selvaggia, coinvolgente e meravigliosa, tra ulivi, mandorli e carrubi, su un altopiano non lontano dal mare, appaiono i maestosi e scenografici templi greci di Agrigento, dichiarati Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco e meta gettonatissima del turismo internazionale. Scriveva il grande letterato e filosofo Wolfgang Goethe nel suo “Viaggio in Italia”: “Lo sguardo spazia sul grande clivo della città antica, tutto giardini e vigneti... verso l'estremità meridionale di questo altipiano verdeggiante e fiorito si vede elevarsi il Tempio della Concordia, mentre a oriente stanno i pochi ruderi del Tempio di Giunone”. L’area archeologica è articolata, infatti, in un settore orientale, con i templi di Giunone (attribuito), della Concordia e di Ercole, e in un settore occidentale, con i templi di Giove Olimpico e dei Dioscuri e il giardino della Kolymbethra, tutti attraversati dalla via Crispi, che collega la città alla costa, ma uniti oggi da un ponte realizzato all’interno della stessa area archeologica. L’area archeologica si raggiunge in auto, ma anche in treno, dalla stazione di Agrigento Centrale, a bordo delle storiche littorine della Ferrovia turistica dei Templi.
Il tempio dedicato a Hera Lacinia, o di Giunone, è in posizione panoramica sulla collina; delle sue trentaquattro colonne, venticinque sono resistite all’incendio doloso del 406 a.C. per mano dei cartaginesi e a un successivo terremoto durante il Medioevo. A poca distanza, si impone alla vista il più noto tempio della Concordia, che, con le sue 34 possenti colonne, alte quasi 7 metri e con un diametro alla base di ben 127 centimetri, riporta alla mente il Partenone di Atene, ed è l’opera tra le più perfette e meglio conservate dell’architettura dorica, grazie alla trasformazione in chiesa cristiana, verso la fine del VI secolo d.C., dedicata prima ai SS. Pietro e Paolo, poi al culto di S. Gregorio. Tale trasformazione comportò la chiusura degli intercolumni e l'apertura, nelle pareti della cella, di arcate a tutto sesto tuttora visibili. Nel 1748, fu tolto al culto e restituito alle forme primitive. Di fronte, vi è la statua di Icaro caduto, opera moderna in bronzo donata al parco archeologico nel 2011 dall’artista polacco Igor Mitoraj. Si narra che il giovane Icaro, disubbidendo al padre Dedalo, provò a volare troppo vicino al sole, così bruciò le ali di cera e morì precipitando nel mare Mediterraneo.
La passeggiata archeologica prosegue fino a incontrare la Villa Aurea, cinta da un lussureggiante giardino dalla tipica ed esuberante vegetazione mediterranea, per arrivare poi alle rovine del tempio di Ercole, che si leva in posizione scenografica al margine dell’area orientale. Forse è il più arcaico, datato VI secolo a.C., come svelano la forma allungata della pianta e il ridotto slancio verticale delle sue colonne, che erano 38 originariamente, ma oggi ne restano 8, di cui soltanto 4 con capitello.
Il tempio di Giove Olimpico, privo di colonne rialzate, con statue distese e assopite, fu progettato per essere uno dei più grandi edifici dell'architettura greca (112.60 metri x 56.30 metri). Fu costruito dopo il 480-470 a.C. dai prigionieri cartaginesi di Hymera, ma non fu mai terminato e successivamente venne distrutto nel corso di guerre e terremoti. Le colonne, nelle cui scanalature potrebbe trovare posto un uomo, erano alte almeno 17 metri, con un diametro di oltre 4. La particolarità del tempio erano i telamoni, colossali figure umane di quasi 8 metri di altezza, realizzate con conci di pietra, che servivano a sostenere e decorare l’edificio.
Nel proseguire, ecco venirci incontro nello sguardo il santuario di Demetra e Kore (VI-V secolo a.C.) e, poi, il tempio di Castore e Polluce, i Dioscuri: le 4 colonne superstiti del tempio sono divenute uno dei simboli di Agrigento, forse per la loro consonanza con il sentimento romantico delle rovine. Eretto verso la fine del V secolo a.C., il tempio, a pianta periptera esastila - con 6 colonne nella parte frontale - , delle dimensioni di 38,69 metri × 16,63 metri, con 34 colonne, fu gravemente danneggiato dal sacco cartaginese. Restaurato in forme ellenistiche, andò in rovina a causa di uno dei tanti terremoti del passato e, nel 1832, fu parzialmente ricomposto con il riutilizzo di materiali da altri templi. Infine, nella piccola valle tra il tempio dei Dioscuri e i resti di quello di Vulcano, vi è il Giardino di Kolymbetra, cinque ettari di delizioso giardino tra pareti di tufo: limoni, pompelmi, mandarini, cedri convivono in perfetta simbiosi con ulivi, mandorli, pistacchi, carrubi, melograni e fichi d’India, e salici, canneti e pioppi, al bordo di un torrentello interno.