Le nocciole piemontesi
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Storia delle nocciole piemontesi e altre meraviglie del Piemonte a tavola
Nell’antica Roma i suoi rami si regalavano come augurio di prosperità, mentre in Germania era un simbolo di fertilità e per i celti era una pianta sacra. È il nocciolo, albero antichissimo che dall’Asia è arrivato in Europa, piantando salde radici fino a fondersi con il paesaggio piemontese. Viene coltivato nel sud della regione, tra Cuneo, Asti e Alessandria: qui sulle colline di Monferrato, Roero e Langhe, dichiarate dall’UNESCO patrimonio dell’umanità, tra borghi, castelli e vigneti nasce la Nocciola del Piemonte IGP.
La sua diffusione inizia nel 1806, quando Napoleone a seguito della guerra contro l’Inghilterra impone un blocco commerciale che impedisce l’arrivo nel nostro Paese di vari prodotti, tra cui il cacao. I pasticceri torinesi, disperati, furono costretti a sostituirlo in parte con la Nocciola Tonda Gentile Trilobata: era non solo l’inizio dell’aumento dei noccioleti in Piemonte ma anche la nascita di un nuovo prodotto, il Gianduja, chiamato così in onore della maschera di carnevale torinese.
Le pregiate nocciole piemontesi, dalla forma sferica e polpa tenera, si distinguono non solo per il gusto ma anche per la resa elevata dopo la sgusciatura; sono facili da sgusciare e si conservano bene, grazie a un basso contenuto di grassi. Si possono mangiare appena colte dall’albero oppure essiccate e sono utilizzate soprattutto nell’industria dolciaria, come guarnizione in granella o per preparare creme e dolci tipici. A cominciare dal cioccolatino piemontese per eccellenza, il gianduiotto, ma anche la torta Nocciolina e i Baci di dama, originari di Tortona, che si chiamano così perché le due parti separate del biscotto si uniscono come due labbra e al centro contengono il ripieno di cioccolata alla nocciola.
Oltre la nocciola piemontese
La pasticceria piemontese del resto è leggendaria e comprende delizie uniche, come i tradizionali marron glacé di Cuneo, grandi castagne sciroppate nello zucchero che si preparano sin dal Settecento, ma anche il bunet (o bònet), il budino delle Langhe a base di cacao, amaretti e rum, che viene cotto su una base di caramello. Aggiungiamo all’elenco le paste di meliga del Monregalese, tipiche di Mondovì: biscotti con farina di frumento e mais, croccanti e tostati, che sono un presidio Slow Food.
In Piemonte anche la pausa caffè è golosa: il “bicerin”, ovvero il bicchierino, era molto amato anche da Cavour e viene preparato ancora oggi a Torino mischiando caffè, cioccolato e crema di latte.
Anche nel salato i sapori piemontesi sono ricchi, intensi, e sfruttano i tesori del territorio. Come il mitico tartufo bianco di Alba, da gustare col burro insieme ai tajarin, i tagliolini all’uovo delle Langhe e Monferrato, zona da cui arrivano anche gli agnolotti del plin, piccoli rettangoli di pasta ripiena di carne, spesso l’avanzo dell’arrosto, che prendono il nome dal “pizzicotto”, il gesto da compiere per chiuderla. Un altro primo piatto meno famoso, le cagliette, si trova solo nella Val Chisone, al confine con la Francia: qui si possono gustare questi grandi gnocchi di patate arricchiti dalla pancetta e dal formaggio, che si condiscono con burro o spezzatino di carne.
Di origine addirittura medievale è invece la Trippa di Moncalieri, un insaccato fatto con diverse parti dello stomaco del suino, mentre il piatto più celebre del Piemonte deriva dalla cucina povera contadina: la bagna cauda. Una salsa realizzata cuocendo a lungo aglio, acciughe e olio extravergine d’oliva: va portata in tavola nel tipico dian, il tegame in terracotta in cui viene cucinata, e si gusta insieme a verdure sia cotte che crude, che ne esaltano il sapore deciso.