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Teatro Municipale Romolo Valli

Panoramica

Lo sfarzo del teatro Municipale non dovrebbe apparire come inadeguato alla città. Il teatro Municipale non è da ritenersi, infatti, un edificio a sé stante, quanto piuttosto un riflesso della più significativa e celebre tradizione teatrale della città.
Sono andate perdute nel tempo le cronache con notizie testimoni della passione non comune - rispetto al resto della regione - dei cittadini reggiani per le rappresentazioni teatrali. Non ha origine per caso neanche la nascita della saggistica, che sin dall’Ottocento racconta la storia dei teatri di Reggio con studi di alta qualità.
Analizzandoli, si nota che le testimonianze di sale attrezzate, a partire dalla seconda metà del Seicento a tutto il Settecento, sono numerosissime. Si può affermare che ogni nobile palazzo avesse a Reggio il proprio spazio adibito alle rappresentazioni teatrali. Tra i teatri privati di modeste dimensioni, il più noto è un teatrino a palchetti che fu commissionato in onore della duchessa di Modena "amantissima delle recite teatrali”; fu costruito in meno di un mese, nell’anno 1722, in un’ampia sala all’interno del Palazzo ducale della Cittadella che si ritiene, fin dal 1672, esser stato luogo di rappresentazioni carnevalesche.
Guardando alla storia dei teatri pubblici di Reggio, invece, si potrebbe pensare che più che di quattro distinti edifici ci si trovi di fronte ad un unico ultracentenario teatro. Infatti, pur mutando nell’aspetto o nella posizione, si riscontra una coincidenza cronologica tra l’origine e il tramonto di ognuno di essi.
Il primo luogo adibito a teatro pubblico di cui si ha notizia si tenessero i principali spettacoli reggiani, era una grande sala rinominata "dei Pretori" in ragione del fatto che era servita per le adunanze del Consiglio pubblico. Era situata nel vecchio Palazzo Comunale, ora Palazzo del Monte in piazza Battisti. Ribattezzata Sala delle Commedie o Sala del Ballone, la sala veniva adattata di volta in volta agli spettacoli fino a che "non si abbellì tanto” da far dire al Tiraboschi nel 1567 che un "teatro fu innalzato per la venuta in Reggio di Barbara d’Austria, duchessa di Ferrara, figliola dell’Imperatore Ferdinando I e sposa di Alfonso II d’Este" (Crocioni 1907, p. 5). La duchessa, l’anno seguente, entrò in Reggio e il teatro fu inaugurato con l’Alidoro, tragedia inedita di Gabriele Bombace, proprio al suo cospetto. Solo nel 1623 ebbero inizio i lavori volti a dotare di palchi il teatro; in seguito fu montato un palcoscenico e si aprì una finestra che avrebbe illuminato la scena. Divenuta troppo angusta, alcuni signori del Consiglio chiesero nel 1635 di "far sì che la Sala diventasse un luogo molto ampio e capace per comedie, tornei et altri simili spettacoli" (cit., p.13), nonché di costruire palchetti riservati "che solo pochi dei Signori di questo Consiglio vi hanno palchetti" (cit., p.13).
L’anno successivo il teatro era già pronto e nei primi giorni di gennaio del 1637 la pianta dei palchetti fu ceduta ad un notaio perché procedesse con l’assegnazione. Sembra che la sala misurasse in lunghezza 40 braccia, in larghezza 35 e che il palcoscenico fosse lungo 32 braccia. I palchi erano 101 su quattro ordini, disposti a "mezzaluna" (cit., p.14). In platea stavano 64 panche laterali, 29 sedie "[...] da sei persone ciascuna" (cit., p.16).
La fama del teatro era grande: "lo stesso duca interveniva spesso, movendosi apposta da Modena" (cit., p. 23) tanto che fu fatto erigere un palco ducale nel 1672 circa. Un’anomala nevicata, nel 1965, danneggiò gravemente le travi del tetto che, rompendosi, distrussero i palchi. Ci si propose allora di irrobustire le strutture lignee e di rinnovare le decorazioni. L’appello a decorare le scene, il soffitto della platea e i palchi raggiunse Ferdinando e Francesco Galli Bibiena "di mai più veduto ed ammirato composto" (cit., p. 31). Il 3 maggio dello stesso anno venne inaugurato il teatro così rinnovato con il "dramma poetico Almansone in Alimena" di Carlo Pollaroli. Il ricavato degli ingressi permise di saldare le spese del poderoso restauro. La sala era adesso lunga 60 braccia e larga 26 con 130 posti in platea. Il teatro reggiano "salì in tanta reputazione per cui fino ai tempi nostri è stato riguardato uno dei più cospicui e celebri teatri italiani" (cit., p. 33). Cinque anni dopo, la notte del 6 maggio 1740 un incendio, forse doloso, distrusse in sole tre ore l’intero fabbricato.
Per timore che la mancanza di un teatro dell’opera potesse arrecare danno al normale svolgimento della grande fiera di maggio o all’immagine stessa della città di Reggio, il duca Francesco III sollecitò il Consiglio perché fosse eretto "con la dovuta prontezza" (cit., p. 39) il nuovo teatro.
Si decise di occupare l’ex area dell’antico Officio della Macina e parte delle stalle ducali presso la Cittadella davanti alla chiesa di Sant’Egidio. Si chiese all’architetto Antonio Cugini "huomo perito e pratico di teatri" (cit., p. 40), di disegnare il progetto. In soli sette mesi di lavori, nel dicembre dello stesso 1740, fu terminato anche l’interno del nuovo teatro grazie alla sollecitudine di operai "tutti reggiani" (cit., p. 41). Il soffitto della platea e l’arredo scenografico furono dipinti da Giovanni Paglia, "scenografo reggiano reputatissimo" (cit., p. 41). Giuseppe Racchetti di Parma dipinse venti figure sul soffitto e il veneziano Carlo Vandi decorò il proscenio e il comodino.
Nonostante l’aspetto esterno risultasse piuttosto deludente perché, benché porticato, pareva "un gruppo di case addossate le une alle altre" (cit., p. 44) l’interno era di "Vago e maestoso disegno" (cit., p. 44). La platea misurava in lunghezza 40 braccia e in larghezza circa 20 con 292 posti a sedere e 130 palchi sistemati in cinque ordini con un loggione, per una capienza totale di 1172 posti. Per offrire una visibilità migliore, si era provveduto a costruire i palchetti sporgenti l’uno rispetto all’altro e digradanti lentamente verso la scena, come prima d’allora era stato fatto soltanto dagli imponenti Andrea Seghizzi, nel teatro della Sala a Bologna nel 1641, e Francesco Bibiena nel Filarmonico di Verona nel 1731. Nel primo ordine, al centro, si ergeva un palco ducale "magnifico, e sotto la panca degli anziani come nel teatro vecchio". Il palcoscenico era in leggera pendenza, con 24 tagli e 14 casse a muro per il movimento delle scene, 48 carri per il movimento delle decorazioni e 48 camere e camerini di servizio. Il ridotto era molto vasto per ospitare giochi pubblici e feste da ballo, e l’atrio era di forma esagonale. Era stato costruito anche un locale rinominato "camerone" per il corpo di guardia. Il teatro era "altamente lodato da chiunque l’esamina" (cit., p.45), anche in ragione del fatto che era dotato di un’ottima acustica "pregio di essere sommamente opportuno all’armonia (cit., p. 45). Tra la fine dell’ottavo decennio e l’inizio degli anni novanta, era diventato molto difficile mantenere l’ordine in teatro, ormai divenuto la sede più ambita per convegni e dimostrazioni dei patrioti (cit., p. 58).
Nel 1814 furono realizzate, da Prospero Minghetti, le nuove decorazioni nel soffitto della platea e fu dipinto un nuovo sipario per il palcoscenico. Anche nella distribuzione dei palchi rinnovati "fu introdotta qualche innovazione; gli israeliti furono ammessi all’occupazione del 3° ordine dei palchi riservando alla nobiltà solo i primi due ordini" (cit., p. 66). Un’estesa ristrutturazione fu avviata nel 1838 quando furono aggiunti otto palchi e venne ridipinto, da Vincenzo Carnevali, il soffitto della platea. L’anno successivo, basandosi sul progetto dell’architetto Pietro Marchelli, fu innalzato il fabbricato, costruito un atrio colonnato, un porticato per le carrozze e ripensate alcune rifiniture, che furono terminate entro l’autunno del 1839. La notte tra il 21 e il 22 Aprile del 1851, "dopo la prova all’opera, la vecchia madre del custode Cavalli [...] avvertì un cupo rombo nel teatro" (cit., p. 72). Truppe coordinate giunsero in soccorso, ma il fuoco aveva irrimediabilmente distrutto la cavea. Agendo tempestivamente, furono salvati l’atrio e gli ambienti sottostanti. Un modello perfetto del teatro di Cittadella è stato da poco costruito, e consente di vederne la struttura e lo spaccato interno.
I musicisti dell’orchestra teatrale, rimasti improvvisamente inattivi, decisero di allestire i locali rimasti illesi dal fuoco. Nel 1852, su progetto dell’ingegnere Tegani (lo stesso che coadiuverà il Costa nella costruzione del Municipale), vennero eretti in poco più di venti giorni quarantuno palchi. Il teatro provvisorio prese il nome di “teatro comunale filodrammatico” e gareggiava "per magnificenza di spettacoli per successi di artisti e di maestri, col vecchio teatro e col nuovo" (cit., p. 78) tanto da essere segnalato con attenzione ai viaggiatori dal celebre cavaliere Ludovic de Lalande. Ma nel biennio successivo all’inaugurazione del Municipale, avvenuta nel 1857, essendo rappresentate solo commedie di dilettanti, spettacoli di marionette e burattini e "rendendosi necessarie costose riparazioni, il Municipio reputò conveniente alienarlo insieme all’area lasciata libera dall’incendio del 1850" (cit, p. 78).
In un primo tempo, per questioni finanziarie, il Consiglio preferì realizzare nella stessa area la costruzione del nuovo teatro. Su richiesta dello stesso Cesare Costa, al quale il Consiglio affidò nel 1851 l’incarico di presentare il nuovo progetto, i consiglieri convennero che l’area occupata anticamente dalla piazza d’armi della Cittadella fosse più adatta al nuovo edificio che i reggiani volevano come teatro-monumento "più magnifico del primo e più rispondente alle accresciute esigenze della scena" (cit., p. 78). "La piccola cittadina, storicamente oppressa da un regime che la relegava in secondo piano, a tutto favore della vicina capitale Modena, trova il suo riscatto proprio nell’edificazione di un grandioso teatro. Esso viene costruito con tutti gli elementi del decoro e della magniloquenza proprio sulle fondamenta della appena demolita Cittadella, simbolo della potenza ducale" (Teatri storici...1982, p.48).
La commissione che soprintendeva i lavori presentò una minuziosa "relazione in cui si prendevano in esame i più recenti risultati raggiunti in Italia, elencandone pregi e difetti" (cit., p. 84) sia per quanto riguardava le decorazioni che per le macchine scenotecniche, l’architettura, l’arredo, l’acustica, ecc...
Sette anni dopo il disastroso incidente, il 21 Aprile 1857, fu inaugurato il nuovo teatro con l’opera musicata per l’evento da Achille Peri, reggiano, e Vittore Pisani; il celebre coreografo Giuseppe Rota pensò un ballo "spettacoloso", Carlo il Guastatore. L’acustica fu giudicata eccellente dalle cronache del tempo.
Nulla è cambiato dell’originaria costruzione, se non la finalità di alcuni piccoli ambienti. Dodici colonne doriche su tre gradoni di granito e due arcate laterali per le carrozze sorreggono il maestoso porticato sul quale si erge il piano nobile. In esso, tredici grandi finestre con timpano e bassorilievo sono divise da lesene ioniche culminanti con quattordici statue che si stagliano alte, a decorare la facciata, sopra il possente cornicione. Il porticato si estende ad entrambi i lati, seguendo i motivi della facciata decorata con statue. Per le ventotto statue esterne, l’insigne Carlo Ridolfi invitò il filologo Bernardino Catelani a stilare un programma iconografico, nel quale richiamò i due principi dell’arte teatrale in auge in quegli anni: quello dell’Istruzione e quello del Diletto. Le due statue raffiguranti l’Istruzione e il Diletto si stagliando al centro della facciata, mentre ai loro lati si ergono le virtù necessarie per istruirsi: dal centro Vero, Virtù, Dramma, Gloria, Vizio, Tragedia, e quelle per divertirsi: dal centro Favola, Scherzo, Danza, Estro, Commedia, Suono. Ai lati, le statue di Pittura, Pudore e Moderazione sono contrapposte a quelle di Rimorso, Curiosità e Silenzio. Nelle terrazze sono collocate altre statue di personaggi famosi, per ricordare con esempi concreti l’applicazione dei due principi dell’Istruzione e del Diletto.
Cinque porte di eguale grandezza si schiudono sotto il portico. La centrale introduce al Vestibolo: "come nelle statue esterne [...] così nelle decorazioni del peristilio e dell’interno, fu guida un concetto informatore: [...] si rappresentarono nel peristilio le glorie del teatro greco, nel vestibolo quelle del Latino, nell’atrio, nello scalone e nella platea quelle molteplici e varie del teatro italiano." (Crocioni 1907, p. 92). Si accede all’atrio con pianta ottagonale decorato da Girolamo Magnani e Giuseppe Ugolini e le cui aperture ad arco sono intervallate da semi-colonne corinzie. Di qui si entra alle sale del ridotto (tra le quali si ricordano la sala ottagonale e la sala degli Specchi) e alla sala per lo spettacolo, con pianta a ferro di cavallo, quattro ordini di palchi e un loggione al quale si accedeva da una scala separata. Il maestoso palco ducale occupa il posto di quattro palchetti centrali del secondo e terzo ordine. Ogni palchetto è dotato di retropalco di servizio. Il grande astrolampo originale in rame ricoperto in stucco (di cui si conservano ancora i macchinari per l’innalzamento nella stanza superiore) pende dal soffitto decorato da Domenico Pellizzi raffigurante le allegorie del Melodramma, della Tragedia, della Coreografia e della Commedia. Il sipario fu dipinto da Alfonso Chierici, il quale si ispirò probabilmente ad un sipario precedente (cit., p. 94). In esso si mostra il Genio dell’Arte che discende dall’Olimpo seguito dai grandi italiani "dei tempi moderni, romani e antichi" raffigurato nell’atto di presentarli alle "Belle Arti", affinché esse si risveglino al loro glorioso ricordo. Il sipario "di comodo" fu dipinto da Giovanni Fontanesi con un paesaggio di rovine che avrebbe voluto ricordare l’allora noncuranza verso la passata grandezza.
Il Municipale è uno dei teatri italiani più ricchi di macchine e servizi per l’allestimento delle scene ancora oggi conservatisi pressoché intatti: argani, tamburi, due ordini di paglioli, scale a chiocciola, strade pensili, pozzi secchi per i contrappesi, tubi metallici per la comunicazione verbale; macchine per gli effetti speciali: del tuono, della pioggia, della saetta, del vento e del volo; bilance per l’olio e il gas, ecc... Di incredibile grandezza è lo spazio del retropalco con una apertura del boccascena di quasi 14 metri, con una larghezza di palcoscenico di 31 e una profondità di 26 metri. Sul palcoscenico è istallato un organo costruito nel 1815 da Luigi Montesani di Mantova e recentemente restaurato. Le scene erano dipinte nella sala di scenografia posta sopra la platea. Le scene venivano issate o discese per essere ritoccate e riposte attraverso delle fessure praticate nel pavimento ligneo.
Dal 1957 la gestione del teatro Municipale è completamente comunale. Prima di quella data, infatti, pur rimanendo di proprietà comunale, il teatro veniva concesso a compagnie e impresari teatrali. Fu iniziato un restauro che ridiede splendore all’edificio.
Si vollero ripristinare gli spazi che erano stati adibiti ad altri usi, si ripulirono le parti pittoriche, gli stucchi, gli ori, gli arredi e la tappezzeria.
Intorno agli anni settanta, in un palco di primo ordine è stata collocata una cabina di regia e il teatro è stato fornito di un impianto televisivo a circuito chiuso, di un impianto luci in sintonia con le più attuali esigenze sceniche e di impianti tecnici per i cambiamenti meccanici delle scene. L’istituzione di laboratori interni permette all’artigianato locale specializzato di proseguire la tradizione ottocentesca. Nel Ridotto si svolgono convegni e mostre. La sala degli scenografi è stata trasformata in sala per le prove dei balletti. L’Archivio è stato trasformato in un moderno Ufficio di Documentazione. Attualmente il teatro Municipale organizza, oltre che stagioni d’opera lirica, stagioni di danza, prosa e concerti di musica.
(Caterina Spada)
Nel 1991 ai due sipari storici, ottocenteschi, dipinti rispettivamente da Alfonso Chierici e Giovanni Fontanesi per il Teatro Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia, se ne affianca un terzo la cui realizzazione è affidata ad un artista di grande talento quale Omar Galliani. L’operazione è apparentemente una sfida, può apparire un azzardo, ma è anche pura emozione dal momento che, per la creazione della grande tela, si ripristina temporaneamente l’antica ampia sala dei pittori posta nel sottotetto del teatro, restituendola alla sua originaria funzione ormai da tempo sostituita dalle prove per i balletti. Al fotografo Luigi Ghirri fu dato il compito di documentare la realizzazione dell’opera. Si tratta di un intervento forte che, per certi versi, ripropone un soggetto ormai desueto, il sipario dipinto e per altri introduce un’opera d’arte contemporanea di qualità in un teatro storico, analogamente a quanto voluto a suo tempo da André Malraux per i soffitti parigini dell’Opéra e dell’Odéon dipinti rispettivamente da Marc Chagall e André Masson. Del resto, i teatri sono organismi dinamici, per loro natura generatori di eventi da cui traggono nutrimento.
Per questo sipario, destinato ad essere incorniciato dagli ori, stucchi e velluti che armoniosamente decorano la sala teatrale del Valli, Galliani concepisce una astrale, vorticosa variazione sulle arti, denominata Siderea. E il rosso delimita e serra, anche concettualmente, la smisurata immagine e sapientemente la fa dialogare con la cavea, i suoi arredi, le sue tappezzerie e nel contempo [...]. Dal rosso arretra il campo principale, un blu cosmico, profondo, intenso, un cielo antico intriso di umori mitologici nel cui centro si allarga e prende forma un elemento che, sottoposto alla legge del divenire, è destinato ad emergere, totem apotropaico, una sorta di Ariel [...]. Come altre, nello schema e nei modi del darsi dell’opera di Galliani di quel periodo.

Teatro Municipale Romolo Valli
Piazza Martiri del 7 Luglio, 1, 42121 Reggio Emilia RE, Italia
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