Il Tartufo dell’Abruzzo, il diamante nero da amare da adesso a per sempre
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Conosciuto e apprezzato da secoli, il Tartufo d’Abruzzo rientra nei Prodotti Agroalimentari Tradizionali PAT perché tipico della regione.
La varietà ambientale del territorio, esteso tra mare, collina e montagna, rende gran parte del terreno ideale per la formazione spontanea di molte tipologie di tartufo.
Vediamo dove si produce e come gustarlo.
Origini e area di produzione
La conoscenza e l’apprezzamento del prezioso tubero risale a tempi lontani. Le prime testimonianze si hanno già all’inizio dell’Ottocento. Niccolò Vicentini nel 1828, ne vantava l’aroma e le proprietà conservative ed esaltava il liquore ricavato dai tartufi fatti a pezzi e lasciati a mollo nell’acqua rigorosamente fredda, perché il calore ne deteriorava la qualità e la delicatezza.
Venivano poi descritti i vari utilizzi e le trasformazioni del prodotto originario, declinato in formaggio, se pestato e messo nel latte bollente, o cotto sotto le ceneri, affettato crudo e servito nelle insalate, o, ancora, condito con olio, aglio e acciughe, infine essiccato.
Che sia coltivato o spontaneo, il tartufo è diffuso sull’intero territorio abruzzese con varie specie (se ne contano 28) in base ai diversi ambienti, a seconda delle caratteristiche pedoclimatiche e delle varietà arboree. Con la sola produzione regionale si raggiunge il 40 per cento di quella totale sull’intera nazionale.
Il tartufo in cucina
Da ingrediente raffinato, il tartufo arricchisce i primi piatti abruzzesi, dal risotto alle fettuccine.
Il nero pregiato è perfetto anche per le carni in umido e per la selvaggina.
Il bianchetto, forte e piccante, è l’ideale per insaporire il pesce e per preparare brodi e zuppe.
Il bianco pregiato va consumato crudo per essere apprezzato al meglio, tagliato a scaglie sottili e distribuito nei piatti con parsimonia.
E poi assaporate i liquori e i formaggi al tartufo: curiosi e, soprattutto, gustosi.
Come si svolge la ricerca del tartufo
Concludiamo con una curiosità. Forse non tutti sanno che in passato la ricerca del tartufo veniva “affidata” alla femmina del suino.
La difficoltà di controllare l’animale ha portato ad abbandonare questa pratica e a preferire il più fidato amico dell’uomo, il cane, dall’olfatto sviluppato e sicuramente più addomesticabile. Dopo una lunga selezione, il lagotto è diventato il cane da tartufo per eccellenza. A incidere sulla scelta, sono state la sua estrema docilità, la resistenza alla fatica e la mancata distrazione offerta dalla selvaggina.